di Giancristiano Desiderio
L’altra sera al San Paolo il Napoli ha perso due
volte. La prima in campo contro l’Arsenal, la seconda fuori contro la civiltà.
Al gol di Alexandre Lacazette al 36’ su calcio piazzato ha corrisposto
l’autogol della stupidità che gli uomini e le donne del servizio d’ordine
all’ingresso dello stadio hanno realizzato impedendo ad Antonio Medici e alla
figlia di entrare nel settore dei “distinti” per il quale il mio amico aveva
regolarmente acquistato i biglietti. Motivo? Perché Antonio Medici cammina con
le stampelle e - preciso - non può camminare senza stampelle. La
sicurezza ha senz’altro le sue ragioni che il cuore non conosce, ma qui c’entra
la testa e non il cuore.
La nuda cronaca è davvero pietosa. Dopo aver superato
il primo controllo ed essere, quindi, entrato nello stadio, Antonio è stato
fermato da un’hostess che gli ha vietato l’ingresso nei “distinti” con le
stampelle. Antonio si è meravigliato perché altre volte è regolarmente passato
con le stampelle. Allora, cosa ha fatto? La cosa più semplice e naturale: ha
detto che si sentiva offeso perché per lui le stampelle non sono una cravatta
che mette e toglie a piacimento ma una necessità, praticamente sono le sue
stesse maledette gambe. Niente da fare. L’hostess ha ribadito il diniego: via
le stampelle o niente “distinti”.
A questo punto è intervenuto un uomo della
sicurezza - forse un poliziotto, non si
sa con certezza perché privo di divisa e di distintivo - e Antonio gli ha chiesto di certificare il
divieto di ingresso per poter così avanzare regolare richiesta di risarcimento.
Tutto a posto? Neanche per sogno. Antonio si è sentito rispondere che la
società calcio Napoli non avrebbe risarcito nessuno.
Finita qui? Magari. Ecco il peggio. Antonio, con
accanto la figlia, si è presentato e qualificato ma a quel punto l’uomo della
sicurezza ha iniziato a urlare: le stampelle non possono entrare e non c’è
nulla di discutere. Così Antonio, umiliato non solo come persona ma anche come
padre, ha un crollo emotivo, manda tutti al diavolo, volge le spalle e va via.
L’uomo della sicurezza, però, che ora si qualifica come poliziotto, lo chiama,
gli chiede i documenti e vuole condurlo in questura. Ce n’è abbastanza per far
vergognare il Napoli, la società, il presidente ma, purtroppo, la storia
incivile non è ancora finita.
Mentre l’uomo della sicurezza sbraita dopo che
Antonio, ormai in lacrime, gli ha fatto presente che non è per nulla chiaro chi
sia, ecco che capita da quelle parti per caso Fabio Pannone, avvocato di
Benevento. Antonio è visibilmente scosso, la figlia piange, sia per la paura
sia perché dispiaciuta - in fondo, padre
e figlia sono lì per un po’ di svago e per stare una serata insieme -,
l’avvocato capisce cosa sta accadendo e discute mentre Antonio e Annastella si
avviano feriti e umiliati verso l’automobile. Sono raggiunti dall’avvocato
Pannone e da una poliziotta che ha il documento e il biglietto di Antonio.
Cercano di calmarlo e gli dicono che entrerà. Antonio ormai è sfiduciato,
stanco moralmente, ma accetta. Finalmente, entra allo stadio. Si siede con
accanto la figlia ma gli tolgono le stampelle. Così, senza stampelle, è fermo,
non può muoversi né per volontà né per necessità. Si sente umiliato e confessa
a sé stesso: “Non andrò mai più allo stadio, qualsiasi stadio. Non si può
essere mortificati per andare a vedere una partita di pallone”.
Fin qui la nuda cronaca extracalcistica di Napoli –
Arsenal. Una brutta partita che la società calcio Napoli ha giocato molto
peggio della partita di coppa. I motivi di quanto accaduto, però, sono da
ricercare altrove.
Contro la stupidità anche gli dèi lottano invano e l’altra
sera ai piedi del San Paolo di stupidità ce n’era così tanta che anche una
piccola divinità, qual è quel superuomo di Antonio, è stata sopraffatta. In questi
casi, i cosiddetti “addetti alla sicurezza” dovrebbero capire la situazione
nella quale si trovano e agire
secondo un senso di responsabilità. Purtroppo, i meccanismi “legali” e “comportamentali”
nei quali viviamo tendono ad eliminare proprio l’agire responsabile e così
offendono l’essere-umano. La disabilità di Antonio è tale che regolarmente
svela la disabilità dei suoi interlocutori. Antonio, infatti, ha una tale volontà
di vita - una vera e propria fame di
vitalità - che è stato capace di
trasformare le sue stampelle in amor fati
e così va su e giù per l’Italia, sale e scende dalle automobili, sale e scende
da treni e aerei, sale palazzi, edifici, castelli, colline, terrazzamenti,
montagne, divora la vita sotto e sopra il cuore e io davanti a lui mi sento un
imbranato. Perché mai, dopo aver acquistato il biglietto per lui e per la
figlia, non dovrebbe andare a sedersi nei “distinti” e vedere la partita? Questa
è la domanda banalissima alla quale la società calcio Napoli deve dare
risposta. Altro che non andare più allo stadio: ci deve ritornare al più presto
e la società calcio Napoli deve riconoscerlo.
Antonio è interista. E’ andato al San Paolo per puro
piacere, per stare bene con Annastella, per divertirsi, perché ama il calcio e
da amante del calcio sa molto bene che lo spettatore altro non è che un
giocatore in tribuna. Proprio come è la stessa vita in cui c’è chi gioca e chi
gioca osservando. Antonio fa splendidamente tutte e due le cose e a volte il
prezzo del biglietto da pagare è l’infernale stupidità degli altri.