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Antonio Medici e l'autogol della stupidità

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 20 Aprile 2019
Tags: NapoliArsenalSanPaoloMedicistampelle

di Giancristiano Desiderio

L’altra sera al San Paolo il Napoli ha perso due volte. La prima in campo contro l’Arsenal, la seconda fuori contro la civiltà. Al gol di Alexandre Lacazette al 36’ su calcio piazzato ha corrisposto l’autogol della stupidità che gli uomini e le donne del servizio d’ordine all’ingresso dello stadio hanno realizzato impedendo ad Antonio Medici e alla figlia di entrare nel settore dei “distinti” per il quale il mio amico aveva regolarmente acquistato i biglietti. Motivo? Perché Antonio Medici cammina con le stampelle e  - preciso -  non può camminare senza stampelle. La sicurezza ha senz’altro le sue ragioni che il cuore non conosce, ma qui c’entra la testa e non il cuore.

La nuda cronaca è davvero pietosa. Dopo aver superato il primo controllo ed essere, quindi, entrato nello stadio, Antonio è stato fermato da un’hostess che gli ha vietato l’ingresso nei “distinti” con le stampelle. Antonio si è meravigliato perché altre volte è regolarmente passato con le stampelle. Allora, cosa ha fatto? La cosa più semplice e naturale: ha detto che si sentiva offeso perché per lui le stampelle non sono una cravatta che mette e toglie a piacimento ma una necessità, praticamente sono le sue stesse maledette gambe. Niente da fare. L’hostess ha ribadito il diniego: via le stampelle o niente “distinti”.

A questo punto è intervenuto un uomo della sicurezza  - forse un poliziotto, non si sa con certezza perché privo di divisa e di distintivo -  e Antonio gli ha chiesto di certificare il divieto di ingresso per poter così avanzare regolare richiesta di risarcimento. Tutto a posto? Neanche per sogno. Antonio si è sentito rispondere che la società calcio Napoli non avrebbe risarcito nessuno.

Finita qui? Magari. Ecco il peggio. Antonio, con accanto la figlia, si è presentato e qualificato ma a quel punto l’uomo della sicurezza ha iniziato a urlare: le stampelle non possono entrare e non c’è nulla di discutere. Così Antonio, umiliato non solo come persona ma anche come padre, ha un crollo emotivo, manda tutti al diavolo, volge le spalle e va via. L’uomo della sicurezza, però, che ora si qualifica come poliziotto, lo chiama, gli chiede i documenti e vuole condurlo in questura. Ce n’è abbastanza per far vergognare il Napoli, la società, il presidente ma, purtroppo, la storia incivile non è ancora finita.

Mentre l’uomo della sicurezza sbraita dopo che Antonio, ormai in lacrime, gli ha fatto presente che non è per nulla chiaro chi sia, ecco che capita da quelle parti per caso Fabio Pannone, avvocato di Benevento. Antonio è visibilmente scosso, la figlia piange, sia per la paura sia perché dispiaciuta  - in fondo, padre e figlia sono lì per un po’ di svago e per stare una serata insieme -, l’avvocato capisce cosa sta accadendo e discute mentre Antonio e Annastella si avviano feriti e umiliati verso l’automobile. Sono raggiunti dall’avvocato Pannone e da una poliziotta che ha il documento e il biglietto di Antonio. Cercano di calmarlo e gli dicono che entrerà. Antonio ormai è sfiduciato, stanco moralmente, ma accetta. Finalmente, entra allo stadio. Si siede con accanto la figlia ma gli tolgono le stampelle. Così, senza stampelle, è fermo, non può muoversi né per volontà né per necessità. Si sente umiliato e confessa a sé stesso: “Non andrò mai più allo stadio, qualsiasi stadio. Non si può essere mortificati per andare a vedere una partita di pallone”.
Fin qui la nuda cronaca extracalcistica di Napoli – Arsenal. Una brutta partita che la società calcio Napoli ha giocato molto peggio della partita di coppa. I motivi di quanto accaduto, però, sono da ricercare altrove.

Contro la stupidità anche gli dèi lottano invano e l’altra sera ai piedi del San Paolo di stupidità ce n’era così tanta che anche una piccola divinità, qual è quel superuomo di Antonio, è stata sopraffatta. In questi casi, i cosiddetti “addetti alla sicurezza” dovrebbero capire la situazione nella quale si trovano e agire secondo un senso di responsabilità. Purtroppo, i meccanismi “legali” e “comportamentali” nei quali viviamo tendono ad eliminare proprio l’agire responsabile e così offendono l’essere-umano. La disabilità di Antonio è tale che regolarmente svela la disabilità dei suoi interlocutori. Antonio, infatti, ha una tale volontà di vita  - una vera e propria fame di vitalità -  che è stato capace di trasformare le sue stampelle in amor fati e così va su e giù per l’Italia, sale e scende dalle automobili, sale e scende da treni e aerei, sale palazzi, edifici, castelli, colline, terrazzamenti, montagne, divora la vita sotto e sopra il cuore e io davanti a lui mi sento un imbranato. Perché mai, dopo aver acquistato il biglietto per lui e per la figlia, non dovrebbe andare a sedersi nei “distinti” e vedere la partita? Questa è la domanda banalissima alla quale la società calcio Napoli deve dare risposta. Altro che non andare più allo stadio: ci deve ritornare al più presto e la società calcio Napoli deve riconoscerlo.

Antonio è interista. E’ andato al San Paolo per puro piacere, per stare bene con Annastella, per divertirsi, perché ama il calcio e da amante del calcio sa molto bene che lo spettatore altro non è che un giocatore in tribuna. Proprio come è la stessa vita in cui c’è chi gioca e chi gioca osservando. Antonio fa splendidamente tutte e due le cose e a volte il prezzo del biglietto da pagare è l’infernale stupidità degli altri.



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