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Emigranti, aveva ragione Troisi

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 1 Luglio 2019
Tags: MassimoTroisiemigrantinapoletani

di Luigi Ruscello

L’emigrazione verso l’estero è uno dei tratti caratteristici dell’Italia, in quanto il numero di coloro che hanno lasciato il Paese per andare in altre zone del mondo è considerevole.
 
 
Le impressionanti dimensioni raggiunte dall’emigrazione sono tali da essere uno dei fenomeni sociali più complessi della nostra storia e sembravano ormai definitivamente archiviate. Invece, anche perché in stretta connessione con l’attuale crisi economico-sociale del Paese, vi è una recrudescenza, tanto da rendere opportuno un riesame della questione.
 
 
Tuttavia, essendo un fenomeno molto eterogeneo, neanche gli studiosi sono in grado di formularne una precisa definizione e di schematizzarne le diverse tipologie (permanente, temporanea, economica, ecc.).
 
 
D’altronde, già nel 1876, quando cioè non si erano ancora raggiunte le successive proporzioni, ci fu chi osservò che «Pochi fenomeni presentano aspetti così molteplici, caratteri così difficili a determinare, influenze così varie, come l'emigrazione.», cosicché si può concordare con chi affermò che «una storia delle migrazioni sarebbe pur quella dell’intera umanità».
 
 
Tuttavia, quando il tema entra nel dibattito politico, si parla poco di numeri e molto per frasi fatte.
 
 
Come al solito, quindi, ho voluto verificare di persona la validità di uno dei più inveterati stereotipi: emigrazione = Sud, in quanto, ogni volta che si discorre di emigrazione, è quasi automatico riferirsi al Mezzogiorno d’Italia, come se fosse l’unica zona del Paese interessata dal fenomeno. È opinione comune, infatti, che in Italia l’emigrazione sia stata e sia quasi esclusivamente un fenomeno meridionale e che solo marginalmente abbia interessato alcune regioni del Nord della penisola. Al riguardo, sono del tutto illuminanti due battute tratte dal film di Massimo Troisi “Ricomincio da tre”:
 
“Ah lei è napoletano! Emigrante?".
 
"No. Ma perché? Un napoletano può solo emigrare?!"
 
 
Ma quella che in bocca ad un grande attore è una battuta divertente, se viene letta, naturalmente con una terminologia diversa, sulla versione online della più famosa enciclopedia in lingua italiana, diviene, purtroppo, una grave testimonianza di pregiudizio da parte di uno stimato studioso, come Pugliese:
 
«Per le persistenze il caso più significativo è rappresentato dal Mezzogiorno che non ha mai cessato di svolgere il suo ruolo di area di emigrazione, sia pure con intensità diversa nei vari periodi e con una ripresa significativa nel corso dell’ultimo quindicennio.». Il che, peraltro, ho già confutato in un precedente intervento.
 
 
Con molta pazienza, quindi, ho rielaborato i dati di Leone Carpi e dell’Istat dal 1869 al 2017 ed il risultato è invero sorprendente perché la media annua del saldo tra espatriati e rimpatriati è pari a circa 62mila persone per il Nord, contro le 45mila del Sud-Isole. Cosicché è solo il Centro-Italia a non essere interessato, essendo solo di 13mila unità il saldo annuo di espatrio.
 
 
In questo tipo di analisi, tuttavia, non è corretto fermarsi ai dati assoluti. L’indice di emigrazione, infatti, si calcola rapportando il numero degli emigranti a quello della popolazione e, più precisamente, su mille abitanti.
 
 
Pertanto, calcolata la media degli abitanti su tutti i Censimenti dal 1871 al 2011 ed utilizzando l’usuale indice su mille abitanti, si ottiene che gli espatriati del Nord sono pari a 3,05; mentre, nel Sud a 2,78.
 
 
Non mi sembra, quindi, che Troisi avesse del tutto torto.
 
 



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