di Giancristiano Desiderio
La gogna è il carattere fondamentale del nostro tempo.
Se non abbiamo qualcuno da incolpare e processare sulla pubblica piazza non
siamo soddisfatti. Chi incolpiamo oggi? Chi offendiamo? Chi insultiamo? La
colpa altrui non ci renderà felici ma è così utile a soddisfare il nostro
risentimento che, ormai, il boia che è in noi non ne può più fare a meno. Il
giustizialismo politico non è più “solo” una strumentale arma politica e
giudiziaria ma è diventata la forma della coscienza immorale degli Italiani
che, come ho provato a mettere in luce ne L’individualismo statalista,
hanno la testa a forma di Procura. Ormai l’aria che respiriamo ha capovolto
tutti i sani criteri di giudizio politico, giudiziario, civile, persino
scientifico, clinico, estetico e storiografico. Viviamo in un processo
universale perenne i cui l’unica cosa che conta è incolpare qualcuno che avrà
fatto sicuramente qualcosa. Una volta si riteneva che fosse meglio avere un
colpevole in libertà piuttosto che un innocente in carcere ma oggi si pensa sia
meglio il contrario. Un tempo vigeva la presunzione di innocenza ma oggi c’è la
presunzione di colpevolezza. Ieri l’altro si indagava in base alla notizia di
reato, oggi basta il sospetto. Non solo di fatto ma anche di diritto non
esistono più innocenti ma solo colpevoli in attesa di essere sospettati e messi
alla gogna.
Le cose che dico non sono un’interpretazione politica
più o meno originale del nostro tempo e come tale passibile di critica o di
condivisione. No. Le cose che dico riguardano da presso la concezione e l’applicazione
del diritto penale che nel tempo è stato travolto fino a diventare, come recita
il libro di Filippo Sgubbi che invito a leggere, Il diritto penale totale
(Il Mulino), sottotitolo: Punire senza legge, senza verità, senza colpa.
Il diritto penale è diventato ormai totale perché riguarda ogni spazio della
vita individuale e sociale che è per definizione, ormai, da punire. E’ totale
perché, con la cancellazione della prescrizione, è senza limite di tempo: infinito,
eterno. E’ totale perché ormai tutti credono che nel diritto penale ci sia il
rimedio a ogni ingiustizia e a ogni male sociale.
Una volta il processo penale riguardava l’accertamento
di un fatto precedentemente accaduto. Dovrebbe essere fisiologicamente così
anche oggi giacché il reato precede il processo e il pubblico ministero e il
giudice sono sottoposti alle leggi: così si dovrebbero ricercare le prove,
accertare i fatti e verificare se rientrano nella fattispecie prevista dalla
legge. Invece, oggi tutto è stato capovolto e dal processo penale che accerta
un fatto si è passati al processo penale che crea il fatto. E’ l’accusa
che costruisce la colpa! Aberrante! Il processo precede il reato e così si va
alla ricerca di un fatto che poi potrà rientrare nella previsione di norme
penali. Siatene certi: il fatto verrà trovato perché il diritto è stato di
fatto slegato dalla legge e le fonti, ormai, sono infinite. Tanto che la famosa
frase “la legge è uguale per tutti” è la parodia di sé stessa: le giurisdizioni
sono innumerevoli e la giurisprudenza, che fin dal nome invitava alla prudenza,
è il diritto del fanatismo.
Una tale idea di giustizia è in lotta con il mondo dal
quale vuole togliere i peccati e in guerra con l’umanità e il suo legno storto
che vuole raddrizzare. Non è più una giustizia umana, che come tale sbaglia, ma
divina e dunque diabolica e disumana perché arresta tutti senza poter essere a
sua volta arrestata ossia fermata. Su tutti regna la cultura del sospetto per
cui la legge è sostituita dal controllo permanente che trasforma i cittadini in
sudditi. Il sospetto genera la teoria del complotto con cui ogni accadimento è
spiegabile giacché il complotto capovolge l’esigenza dell’onere della prova:
non è più necessario esibire prove ma bisogna dimostrare che il complotto è
falso. Sennonché, il complotto è vero a priori perché è proprio l’esistenza
della dietrologia – ossia della magia – che soddisfa il risentimento, l’invidia,
la frustrazione, l’insicurezza, il vittimismo.
Tutti noi, ormai, viviamo in questo manicomio in cui
il diritto penale (totale) s’identifica con l’etica pubblica e tutto, anche i
vizi, i peccati, i comportamenti “impropri”, gli sbagli, tutto è reato. Le
azioni - che si tratti di affari o di sesso, di lavoro o di ambiente, di tasse
o di amministrazione - non escono dal recinto dell’incriminazione penale. La
giustizia penale è diventata la grande mediatrice del modo di concepire e
sentire la società ossia i rapporti umani. Il celebre incipit de Il
processo di Kafka – “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. perché senza
che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato – è semplicemente non
solo la realtà della nostra condizione ma anche la forma ideale della
coscienza. Ma con una differenza peggiorativa: in Kafka la colpa riguarda una
persona in quanto tale, mentre nel nostro tempo la colpa è legata al ruolo
sociale, all’attività, al genere sessuale.
Auguri!