di Gennaro Malgieri
Il
governo che non doveva mai nascere sembra che stia per tirare le cuoia. Meglio
tardi che mai. Dopo un anno di inconcludenti annunci, di drammatizzazioni
eccessive, di figuracce rimediate sul piano internazionale, di diffidenze
reciproche ricomposte soltanto per ragioni di potere (la sola cosa che ha
funzionato è stata la spartizione delle poltrone, lottizzate come mai nella
storia recente, in ossequio ai dettami della peggiore partitocrazia), comunque
finisca la pochade sulla Tav, il “governo
del cambiamento” è arrivato al capolinea.
Purtroppo
il conto lo pagheranno gli italiani, molti dei quali, continuando a dare
credito al duo Di Maio-Salvini, come attestano i sondaggi sia pure certificando
la caduta verticale dei pentastellati, non si rendono conto che l’esecutivo
contronatura ha portato l’Italia in recessione.
Bel
primato per chi si proclama “sovranista”, concetto inesistente, frutto del
marketing politico, insignificante sotto tutti i punti di vista e mai tanto
abusato per coprire il vuoto della sovranità reale provocato non dai
complottisti esterni (che ne ricavano utili insperati), ma dall’incapacità di
chi ha alimentato divisioni, lacerazioni, odio e invidia sociale ed ha
infangato l’interesse nazionale - il presupposto della sovranità - immaginando
di cedere quote di “autonomia rafforzata” ad alcune regioni facendo venir meno
il principio dell’unità nazionale.
Come
se non bastasse, la vicenda Tav è la dimostrazione più palese (e drammatica)
che il “bene comune” non ha alcuna rilevanza sempre per le suddette forze
sovran/populiste, in particolare di quelle “grilline”, posto che se i
governanti decidessero di tappare quel buco già scavato, andrebbero in fumo
sette miliardi di euro degli italiani e ai detestati francesi dovremmo
restituire la bellezza di cinquecentomila euro. Un affare che s’inquadra sempre
in quell’interesse nazionale declinato alla loro maniera dai sovranisti all’amatriciana.
Per di più la Svizzera si sta già attrezzando a subentrare all’Italia e farebbe
carte false per spostare la contestata tratta ferroviaria un po’ più a Nord,
inserendosi nel corridoio Lisbona-Kiev, del quale solo una piccola parte (ma
significativa) attraversa la Val di Susa, la cui prospettiva finale è l’arrivo
a Pechino.
Più che
il puntiglio “ideologico”, poté l’imbecillità dei demagoghi. Se i contestatori
di una delle più importanti e gigantesche opere pubbliche transcontinentali,
infatti, ragionassero davvero appoggiandosi alle categorie ideologiche,
dovrebbero concludere che la diminuzione dei gas scaricati da migliaia di Tir
al giorno favorirebbe soprattutto il miglioramento ambientale, anche questo,
com’è facile capire, tassello di un “interesse comune” che
inspiegabilmente non rientra nei canoni
di certo sovranismo.
E
così, dopo i molti compromessi accettati ed ingoiati, in omaggio al “contratto
di governo” (ma possono nascere i governi su base contrattuale?), da ambo le
parti, la compagine gialloverde è finita su un binario morto. Laddove,
tuttavia, può ancora fare danni. Qualche manfrina per durare i “dioscuri” e i
loro adepti cercheranno di inventarsela, sempre tradendo il popolo che li ha
votati e fingendo di volerlo difendere, naturalmente. Magari guadagnando tempo
con il furbesco rinvio degli appalti che legalmente non possono essere
rinviati; oppure congelando il tutto in attesa di una pronuncia parlamentare
illegittima in quanto nel 2003 il relativo Trattato internazionale venne
ratificato da Camera e Senato che si espressero per la fattibilità dell’opera.
Ma si sa, gli accordi sono carta straccia per i rivoluzionari da operetta adusi
a fare più danni dei rivoluzionari di professione.
E
così Salvini starà sulle spine semmai dovesse resistere e rompere con i
Cinquestelle che gliela farebbero pagare assai cara votando al Senato per l’autorizzazione
a procedere contro di lui; Di Maio si troverebbe a mal partito davanti alla sua
già esigua ed esangue base elettorale per non aver portato a casa niente,
neppure il blocco di quella simbolica Tav. Entrambi si vedrebbero costretti a
rivedere i propri asset propagandistici, dall’autonomia regionale alla quota
cento al reddito di cittadinanza. Un disastro, insomma. Un bene per il Paese.
Che ha già “accettato”, forse senza ancora accorgersene, un aumento dell’imposizione fiscale notevole e rischia una patrimoniale
devastante se questi irresponsabili non fanno le valige al più presto. Il
presidente del Consiglio “delegato” alla concordia tra i suoi vice, potrà sempre
consolarsi continuando a ritenere che il 2019 “sarà un anno bellissimo”...
Insomma,
il “sovranismo” è il peggior nemico della sovranità. Finché lo si agita
platonicamente fa sorridere; quando si pretende di costruirci su una politica,
fa piangere. E fino a quando gli italiani che hanno votato questa gente che li
ha presi per i fondelli (a proposito: come mai Salvini ha dimenticato strada
facendo la flat tax, forse perché non
piaceva a Di Maio?) la sovranità sarà ancor più fatta a pezzi, ma non a
Bruxelles, a Francoforte o New York, bensì nelle macellerie politiche italiane
dove lacerti di “bene comune” vengono svenduti da demagoghi per guadagnare
poltrone e potere. Almeno così hanno immaginato il 4 marzo di un anno fa quelli
che si battevano contro le élites non ritenendo che in breve tempo sarebbero
stati recepiti come oligarchi piuttosto irresponsabili. Un anno dopo la musica è
cambiata. Il popolo forse comincia a capire di chi diffidare.