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Il paese a sovranità limitata

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 23 Novembre 2019
Tags: sovranistimaastrichteinaudicroce

di Luigi Ruscello

«Quella sovranità perduta nell’Europa unita», così titolava qualche anno fa un sito sovranista, il quale, peraltro, non è il solo a ritenere che il far parte dell’Unione Europea abbia causato la perdita della nostra sovranità nazionale. Tema ripreso, peraltro, anche da forze politiche e studiosi.
Dalla lettura del titolo innanzi citato, e pur essendo euroscettico, è sorto in me un dubbio: ma è veramente così?

Dalle reminiscenze scolastiche, infatti, è riemersa subito la sempre attuale terzina del VI canto del Purgatorio: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di provincie, ma bordello!».
Ma, venendo ai tempi più recenti, il pensiero corre al dettato costituzionale e, in particolare, al combinato disposto degli articoli 1 e 11.

I cosiddetti “sovranisti”, infatti, ripetono ossessivamente che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ma dimenticano che «L'Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.».

E dunque la prima osservazione riguarda la nostra natura di italiani, cioè di essere “non donna di provincie, ma bordello!”.
D’altronde, come scriveva già nel 1900 lo storico inglese Bolton King, al confronto degli altri popoli di Europa, l'Italia "possedeva un ideale umano e conduceva una politica estera comparativamente generosa". Questo significa che più degli altri siamo disponibili alla collaborazione, se non addirittura alla sottomissione.

Tuttavia, per rimanere nell’ambito dell’Italia repubblicana, ritengo che si sia data sempre poca importanza alla resa senza condizioni del 1943 e al Trattato di Pace firmato il 10 febbraio 1947 a Parigi.
Dal mio opinabile punto di vista, infatti, è da lì che parte la nostra perdita di sovranità.
Per chi non avesse mai dato una scorsa al Trattato di pace, mi permetto consigliare la lettura degli articoli 15, 16 e 17.

L’articolo 15, nonostante l’azione svolta per ottenerne la soppressione, in vista della futura appartenenza dell’Italia all’ONU, impose di assicurare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali. Inoltre, l’articolo 16, che imponeva di non perseguitare i cittadini italiani che avessero svolto attività a favore della causa alleata, e l’art. 17 relativo alla repressione delle attività fasciste, non figuravano nel testo presentato originariamente alla Conferenza di Parigi. Al riguardo il Ministro Sforza osservava che ambedue apparivano superflui e, in quanto unilateralmente imposti, contrari alla “sovrana eguaglianza di diritti” sanciti dallo Statuto dell’ONU.

In particolare, giova ricordare l’articolo 15 del Trattato: «L'Italia prenderà tutte le misure necessarie per assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, di godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ivi compresa la libertà d'espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione.»

E pertanto, al di là della giustezza dei principi enunciati, non si può non constatare la quasi identità con taluni articoli della Costituzione, tra i quali spicca sicuramente il n. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.»

In definitiva, pur non condividendone i contenuti, mi sembra non pertinente attribuire al Trattato di Maastricht la perdita di sovranità poiché essa non è mai stata una nostra prerogativa.

Basta considerare quanto dichiararono Einaudi e Croce nel dibattito in sede di Assemblea Costituente sul voto di ratifica del Trattato di pace. Einaudi, che parlò il 29 luglio, espresse la sua più viva ammirazione nei confronti di Croce: «Queste mie parole vogliono invece essere un'umile appendice di considerazioni storiche al grande discorso col quale Benedetto Croce pronunciò l'altro giorno un giudizio storico solenne sul trattato imposto a noi dalla volontà altrui … ho ascoltato con commozione ed ho riletto con ammirazione profonda il giudizio storico che Benedetto Croce ha pronunciato in quest’aula intorno alla ratifica del trattato di pace».
Croce, infatti, il 24 luglio, tra l’altro, affermò che il Trattato di Parigi aveva introdotto clausole che violavano la sovranità dell’Italia sulle popolazioni che le rimanevano.



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