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Il rancore neoborbonico non aiuta il Sud

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 27 Aprile 2019
Tags: neoborbonicimezzogiornorancore

di Luigi Ruscello

In un precedente intervento ho formulato la mia ipotesi sulle motivazioni alla base del fiorire di numerosissime associazioni nostalgiche del Regno delle Due Sicilie, che vanno sotto il nome di neo-borbonismo.

Una prima osservazione, però, riguarda il fatto che, pur essendo palese l’intento antiaccademico e, comunque, contro la storiografia "ufficiale", il fenomeno è stato largamente sottovalutato.

Pur essendo vero che i modi e le forme in cui si esprimono sfiorano talvolta il ridicolo, non è stato considerato nella giusta misura il fattore “pancia”, cioè che l’opinione pubblica è attratta più da considerazioni emotive che ragionate. Come è stato giustamente osservato, infatti, il consenso non si muove in base al grado di istruzione delle parti in causa, ma solo all'empatia che si genera tra di loro.

Il successo di questi movimenti, quindi, è dato dalla semplicità degli argomenti utilizzati, quasi tutti rivolti alla comprensione immediata e non all’intelligenza. Basti pensare alla tesi dello sterminio, se non di milioni, di centinaia di migliaia di meridionali. E il più emblematico di tutti è sicuramente il presunto eccidio di Pontelandolfo, che però è stato recentemente sbugiardato da un ottimo testo di Giancristiano Desiderio (Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia, Rubbettino, 2019).

Non si può non essere d’accordo, quindi, con chi ha sostenuto che, come i veri borbonici dell’Ottocento, i neo-borbonici non vanno oltre il risentimento e il rimpianto della sconfitta.

Tuttavia, come è stato giustamente osservato, nonostante queste caratteristiche e le indignate prese di posizione delle associazioni degli storici, bisognerebbe, forse, attutire i toni e puntare a un discorso critico e privo di stereotipi e pregiudizi, che non mancano nemmeno tra gli studiosi di professione.

È da notare, al riguardo, che tali associazioni di storici non si sdegnano allo stesso modo, o addirittura per niente, quando concetti e espressioni utilizzate dalle variegate associazioni sono espresse da personaggi di valenza nazionale come, ad esempio, Eugenio Scalfari o Adriano Giannola. Al primo, infatti, sarà forse anche sfuggito, ma ha affermato: “Perfino il regno di Napoli, a quel punto, era molto più ricco e potente del Piemonte.”; mentre, il secondo, nel corso di un’intervista, ha affermato che “L’Italia ha un Nord forte e poi ha una colonia che è il Sud.”.

Come tutte le vicende umane, tuttavia, anche questi movimenti, e segnatamente quei pochi che non esagerano nei toni e nei modi, hanno un lato positivo, cioè quello di rappresentare una sorta di controinformazione a quello che può essere definito un vero e proprio processo di disinformazione scientifica, come, ad esempio, quello posto in atto sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso a proposito del cosiddetto intervento speciale per il Mezzogiorno (solo di nome).

In conclusione, la miriade di movimenti nati a difesa della memoria del Regno delle Due Sicilie, fatte le poche ma dovute eccezioni, sono quanto di più fuorviante e controproducente si possa immaginare affinché la questione meridionale possa avere una minima speranza di abbandonare il carattere di causa perduta.

Sono fuorvianti perché, nel ricordare ossessivamente i presunti primati del Sud, generano solo un sentimento di rancore, come peraltro il Censis ha certificato in via più generale per l’intera Italia.

Sono controproducenti perché la più diretta conseguenza è quella di non condurre ad un sano mea culpa noi meridionali e ad assumere, da sconfitti, conseguenti comportamenti virtuosi.



Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
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