di Giancristiano Desiderio
Un gentile amico mi ha segnalato un discorso del simpatico
dottor professor archivista Gennaro De Crescenzo, presidente del movimento
neoborbonico, sulle fonti della storia. Non entro nel merito delle sue
divagazioni ma chi è interessato al genere può reperirle su Facebook alla
pagina della Fondazione Il Giglio. A me interessano solo gli ultimi tre minuti
del fluviale discorso perché sono dedicati al mio libro Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia (Rubbettino). Il
professore neoborbonico vorrebbe archiviare il libro che non cita, perché spera
“se ne vendano solo tre copie”, ma raggiunge il risultato contrario: è il
libro, che ha già venduto tremila copie, ad archiviare lui. Infatti, il cavallo
di battaglia neoborbonico su Pontelandolfo era lo stesso di Pino Aprile ossia
il seguente: ci furono 462 morti o addirittura migliaia. Invece, ora il
professore neoborbonico è costretto ad ammettere, suo malgrado, che ci furono
13 morti come i molti lettori del libro ormai sanno sulla base di una
ricostruzione che esibisce molti documenti. Così il professore neoborbonico pur
di giustificare l’ingiustificabile, ossia che a Pontelandolfo ci fu un eccidio,
ricorre prima alle definizioni - che
lasciano il tempo che trovano - e poi fa
appello a Giuliano Amato che il 14 agosto 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità
d’Italia, si recò nel paese del sindaco Melchiorre e dell’arciprete De Gregorio
per, come si usa dire senza senso né della storia né della morale, chiedere
scusa.
La verità di Stato non mi è mai piaciuta perché mette
insieme cose tra loro in conflitto finendo per danneggiare sia la verità sia lo
Stato. Il caso di Pontelandolfo è emblematico. Oggi, ma in realtà anche ieri,
sappiamo che fu “tutta un’altra storia”. Ma mentre ieri le istituzioni si
mobilitarono per riconoscere ciò che non c’era, oggi le istituzioni tacciono e
non riconoscono ciò che c’è: il vero eccidio che fu consumato nel Sannio, tra
Casalduni e Pontelandolfo, fu quello del massacro a sangue freddo dei 41
soldati del tenente Bracci. Mi chiedo: il presidente Amato, il cui nome è usato
per giustificare l’ingiustificabile, può restare in silenzio come se la verità
storica non fosse finalmente emersa in tutta la sua forza?
La questione dei 13 morti è riconosciuta, ormai, anche
dai neoborbonici. Nei fatti di Pontelandolfo, però, la questione dei morti è
secondaria. Infatti, gli accadimenti più importanti sono altri e, in
particolare, questi tre: 1) furono gli stessi soldati della Guardia Nazionale e
del colonnello Negri a sfollare Pontelandolfo ed a mettere in salvo gli
abitanti (si veda su questo stesso blog l’articolo: “Pontelandolfo 1861. Tutta
un’altra storia 2” che annuncia la seconda edizione del libro; 2) morì chi non
fuggì e tra i 13 morti ci sono assassinii che furono regolamenti di conti tra
pontelandolfesi; 3) il 14 agosto 1861 la banda di Cosimo Giordano aveva
architettato un agguato per prendere in trappola i soldati del maggiore
Melegari e fargli fare la stessa fine dei soldati del tenente Bracci ma l’imboscata
non scattò per un mero imprevisto della storia: l’arrivo dei soldati del
colonnello Negri, il quale avrebbe dovuto ricevere il telegramma con l’ordine
di recarsi a Pontelandolfo il giorno 10, ossia prima del massacro dei soldati di Bracci, ma lo ricevette solo il
13 agosto quando rientrò a Benevento.
La storia di Pontelandolfo e di Casalduni è, dunque,
completamente diversa da come è stata raccontata dalla vulgata costruita artificiosamente negli ultimi vent’anni. La
storiografia sannita - faccio un solo
nome: Alfredo Zazo - ha sempre saputo che
a Pontelandolfo ci fu un incendio e non un eccidio, come ha sempre saputo che l’azione
dei soldati italiani non fu e non nacque come rappresaglia bensì come
intervento per il ripristino della legge e dell’ordine sociale e in quest’intervento
il vero massacro non fu fatto dai militari ma da loro subito. Ma della
storiografia sannita si è persa la memoria e il mio libro le ha dato nuovamente
voce portando a sistema ciò che era in “pagine sparse”.
Di fronte a questa evidenza dei fatti - documentati e storicizzati! - c’è un chiaro dovere delle istituzioni di
prendere atto della verità storica e rendere omaggio alla memoria dei 41
soldati uccisi a sangue freddo. Il comune di Pontelandolfo, pur essendo l’istituzione
più coinvolta, tace e mai silenzio fu più rumoroso e imbarazzante. Purtroppo,
al momento tace anche Giuliano Amato e la sua visita del 14 agosto 2011 in
rappresentanza dello Stato italiano è usata in modo strumentale per
giustificare ciò che la verità storica ha dimostrato essere infondato. Ma
questo silenzio è ormai assordante. E’ compito della Provincia di Benevento,
presieduta da Antonio Di Maria, farsi avanti e dare voce al dovere
istituzionale per ricordare i 41 soldati sacrificati a Casalduni. E’ anche da
quel sangue che nacquero la stessa Provincia di Benevento e la nuova Italia.