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La valigia dei laureati

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 30 Marzo 2019
Tags: laureatifugasudnordpd

di Luigi Ruscello

Sui mezzi di informazione, sempre con maggiore insistenza, si susseguono interventi che segnalano una crescente emorragia di giovani laureati dal Sud.

A colmare la lacuna informativa ha provveduto l’Istat, con il quinto Rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile) edito a giugno 2018 ed aggiornato al 2016, in cui, da un lato, ha approfondito le caratteristiche del capitale umano con alti livelli di educazione e, dall’altro, la capacità di attrarre/trattenere risorse professionali.

Il nuovo indicatore sulla Mobilità dei laureati italiani considera il bilancio netto (guadagno o perdita) dovuto alle migrazioni della componente più giovane e istruita di popolazione. L’indicatore è calcolato, infatti, come rapporto tra il saldo dei laureati italiani in entrata/uscita da/verso l’estero (o un’altra regione) e il totale dei laureati italiani di età 25-39 anni residenti.

Ebbene, nel 2016 il tasso è negativo, indicando così una perdita netta di laureati italiani pari al 4,5 per 1.000. Ma questo dato non è una novità, poiché non fa altro che confermare il trend degli ultimi anni (-2,4 per 1.000 nel 2012 e -4,2 per mille nel 2015). In valori assoluti si ha che, nel 2016, circa 16 mila giovani laureati hanno lasciato il nostro paese e poco più di 5 mila sono rientrati.

Il problema, però è che tutte le regioni hanno un saldo migratorio di laureati italiani negativo a livello internazionale, comprese Lombardia ed Emilia-Romagna: queste ultime infatti conquistano terreno in termini assoluti solo se alle “perdite” verso l’estero si aggiungono i “guadagni” legati alla mobilità interregionale di laureati (quelle dal Sud al Nord).

Tanto premesso, non comprendo la meraviglia provocata da tali dati perché mi sembra fin troppo ovvio che, se non vi sono adeguate opportunità di lavoro oppure ne mancano proprio, l’unica soluzione è quella di “emigrare”.

È per questo motivo che, in un intervento dell’ormai lontano 2009, mi permisi criticare una proposta dell’allora segretario del PD, Dario Franceschini. Quest’ultimo, infatti, a proposito di Mezzogiorno propose, tra l’altro, uno stage di sei mesi e un anno di retribuzione a carico dello Stato per centomila giovani laureati o diplomati con un costo di 500 milioni. Detto per inciso, all’epoca non si parlò di assistenzialismo, forse perché la proposta veniva dai cosiddetti “progressisti”.

La mia obiezione di allora, purtroppo ancora valida, fu la seguente: al di là del costo molto contenuto, mi permetto osservare che le conseguenze sarebbero a dir poco catastrofiche, in quanto otterrebbero proprio l’effetto contrario a quello desiderato. Mi chiedo e chiedo: una volta “super formati”, questi giovani dove troverebbero la loro allocazione? Mi sembra quanto mai evidente che, se nell’arco temporale di un anno e mezzo non fossero disponibili centomila posti di lavoro, due sarebbero le dirette conseguenze: si creerebbe un numero elevatissimo di lavoratori precari e si favorirebbe vieppiù la loro emigrazione.

Insomma, la conclusione di ieri e di oggi è che istruirsi fa certamente bene, ma se non si rinforza il sistema produttivo meridionale, e direi anche nazionale, l’emorragia continuerà ancora.



Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
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