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La vita stretta

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 1 Agosto 2019
Tags: vitaD'avalosospedale

di Antonio Medici

Cammino lungo il corridoio cupo, è lo stesso tunnel che ospita uno dei ricordi più tristi e teneri della mia infanzia, di quando loro erano sposi sulla via di una separazione cruenta, sanguinosa del loro e, ciò che è peggio, del mio sangue.

L’ho lasciato nella stanza che era mia da prima che il palazzo esistesse, la stanza a mezzogiorno che nonna Maria aveva preteso per me e intorno alla quale, chissà, forse aveva preteso si montasse l’intero progetto dell’edificio.

La stanza cui mi ha sottratto prima la separazione e poi la follia immatura dell’uomo che ora vi giace con una smania refrattaria all’esperienza, a ogni saggezza, alla maturità e alla rassegnazione. La smania di un intollerante che non accetta debolezza e, per contrappasso al degenerare del suo fisico e anzi trovando in questa decadenza un giusto alibi all’egoismo imperatore, si è dotato di una campanella d’ottone per chiamare e, agitando col massimo di un impeto modesto per la decadenza detta, richiamare. Trovo in queste manifestazioni oltre e più che l’espressione dell’indole dell’uomo, la rappresentazione della sua intangibilità, della sua assenza o distanza dall’esperienza mia di handicappato a diciassette anni, deambulante con armature di acciaio, titanio, carbonio e plastica. Non ho risentimento per questo né sarebbe il momento.

Cammino per il corridoio cupo lasciandomi alle spalle quella stanza e il suo occupante, rivedo quel ricordo triste e tenero interrotto, d’improvviso, dalla luce della finestra del grande salone, rifratta dalla poltrona bianca, grande, in cui fino a ieri l’altro lui accoglieva. Ora è vuota. È vuoto il salone della casa più bella, con la torre dei D’Avalos che ci cade dentro dalla finestra. È vuoto e io penso, interrompendo il ricordo, che la vita si stringe.

La vita vissuta, il giro per le filiali della banca, per l’Europa, per l’Italia, per i ristoranti, per i viaggi della mia salute, per gli ospedali suoi anche.

Poi è venuto il tempo che quell’universo si è ridotto alla casa, al mio studio, a casa mia. E poi solo a casa sua e a casa mia. E poi ancora solo alla sua casa e al suo salone. Ora solo a quella che fu la mia camera, che lo ospita, fratturato, in attesa di riaccoglierlo dopo l’ospedale.

Il restringimento dello spazio è proceduto col restringimento delle circonferenze: la pancia, le gambe, le braccia. La testa meno. I vecchi che decadono lentamente ritornano a quella dimensione infantile di sproporzione assurda tra la testa e il resto del corpo.

Non fanno impressione gli ematomi causati dalle molecole che fanno il sangue più liquido per farlo correre in vene sempre più strette, fa impressione il perimetro di ogni cosa che si stringe, quello dello spazio vissuto e del corpo.

La vita non si consuma, si stringe.



Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
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