blog - giancristiano desiderio

Vai ai contenuti

Le ragioni di un euroscettico

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 23 Novembre 2019
Tags: PaoloBaffieuroeroscetticismo

di Luigi Ruscello

Devo confessare che ero euroscettico ancor prima di Maastricht perché, tra l’altro, ritenevo che l’allora CEE avesse contribuito a penalizzare l’agricoltura meridionale. Ma lo sono diventato in pieno proprio dopo la firma di quel benedetto (!) Trattato.

Le mie riserve sulle clausole del Trattato non erano dettate da fondamenti teorici, che sono propri degli economisti di mestiere, quale io non sono, ma da aspetti pratici dettati dalla mia professione.

Il primo riguardava la norma relativa al rapporto debito/PIL e in particolare al suo rientro nel limite del 60% in un arco temporale troppo ristretto. La mia critica era basata su un semplice pensiero, e cioè: ad una azienda in crisi cosa si propone? La tecnica bancaria mi suggeriva di allungare i tempi di rientro delle passività, in presenza, per quanto ovvio, di un piano di risanamento. Allo stesso modo ragionavo per l’Italia il cui debito era cresciuto in modo abnorme dopo lo scellerato divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, avvenuto nel 1981 (nel 1980 il rapporto debito/PIL era inferiore al 60%; mentre giunse al 121,84 nel 1994).

Costringere un’azienda in crisi a rimborsare i propri debiti in un breve arco temporale, dunque, altro non provoca se non il suo fallimento.

Le identiche considerazioni mi hanno portato poi, negli anni a noi più vicini, a non condividere, nel modo più assoluto, l’approvazione del fiscal compact.
È vero che la storia non si fa con i ‘se’, ma, se la politica non avesse fatto fuori quel galantuomo e valentissimo economista come Paolo Baffi, il divorzio non ci sarebbe stato e, soprattutto, le successive trattative di Maastricht avrebbero avuto un corso del tutto diverso. Giova ricordare, infatti, che l’unica vittoria italiana nelle trattative a livello europeo è stata ottenuta proprio da Baffi in sede di SME, quando riuscì ad ottenere una banda di oscillazione più ampia per la ‘lira’.

Inoltre, la regola del 3% come rapporto tra deficit e PIL, la consideravo fuori da ogni principio economico, oltre che scientifico. Si è scoperto poi che avevo ragione quando il funzionario francese Abeille ha confessato le modalità di nascita del cervellotico rapporto.
Il secondo motivo di critica riguardava non l’euro in quanto tale, bensì il sistema di cambi fissi. Sono convinto, infatti, come già accennato, che se nel 1981 e alla vigilia della firma di Maastricht vi fosse stato ancora Paolo Baffi come Governatore della Banca d’Italia, non ci troveremmo oggi nelle condizioni di guardare al futuro senza alcuna speranza. Sì, perché con le attuali regole l’Italia non si solleverà più. E se le modifiche al “fondo salva stati” saranno quelle illustrate da Galli nell’audizione in commissione, andremmo incontro ad una catastrofe.

Comunque, ritornando all’euro, Baffi era contrario al sistema dei cambi fissi, come si rileva da una sua icastica dichiarazione: «Quando si è eretto il feticcio dei cambi fissi le conseguenze sono state nefaste».

D’altronde, l’Italia fino ai primi anni Novanta era andata avanti con le cosiddette “svalutazioni competitive” ed i risultati non erano stati così malvagi se era giunta ad occupare il quarto posto fra le potenze mondiali. È vero che gli effetti positivi delle svalutazioni non sono strutturali, ma solo temporanei, da cui il susseguirsi delle svalutazioni stesse, ma almeno evitavano di andare in recessione e garantivano una certa crescita che riusciva a contenere il maggior costo del debito pubblico.

Sempre nelle discussioni dell’epoca, cioè alla metà degli anni Novanta, non mancavo di sottolineare che l’effetto più diretto di Maastricht sarebbe stato la sostituzione della svalutazione monetaria con quella cosiddetta “interna”, cioè la progressiva riduzione dei costi del personale per mantenere un certo grado di concorrenzialità.

Oggi, purtroppo, paghiamo il conto di tutte quelle scelte sbagliate, cui una debole, per non dire imbelle, classe dirigente (politico-economico-culturale) non ha saputo, non dico trovare una soluzione, ma neanche una parvenza di correzione. È brava solo nel professare un “europeismo di maniera”.



Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
Questo sito non è una testata giornalistica: è un blog. Il blog non è un prodotto editoriale sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1, comma III della L. n. 62 del 7.03.2001, quindi ogni singolo blogger è responsabile di quanto scrive.
Torna ai contenuti