di Giancristiano Desiderio
Una
volta Nicola Piepoli mi raccontò una storiella.
Bussano
alla porta.
-Toc!
Toc!
-Chi
è?
-Io,
la paura.
Aprii
ma non c’era nessuno.
La
paura – è la morale della storiella – non è fuori ma dentro di noi. E’ una
sorta di segnalatore di pericolo. Noi, infatti, abbiamo paura di qualcosa di
determinato: del buio, del ladro, della moglie, della malattia. La paura,
dunque, non è un male in sé e se non ci fosse andrebbe inventata. Tutto sta a
non scambiare segnale e pericolo, a non trasformare la paura in pericolo perché
in tal caso non si sa più dove sia il pericolo e ci si ritrova nella condizione
della storiella in cui si apre la porta e non c’è nessuno.
Gli
uomini hanno creato la conoscenza per superare paure, pericoli, mali. La conoscenza,
però, può avere un difetto: la superbia. Può mettersi in testa strane idee
come, ad esempio, quella di debellare una volta per tutte le paure, i pericoli,
i mali della vita, piuttosto che conoscerli e superarli di volta in volta.
Invece, non esiste una conoscenza che ci renda immuni dal male. La conoscenza è
un po’ come la paura: è un segnalatore e se si scambia segnale e segnalato si
cade nell’auto-inganno e si crede all’illusione che la conoscenza renda la vita
invulnerabile e trasformi l’uomo in Dio.
L’auto-immunità
è un inganno e ci fa perdere di vista proprio il pericolo in cui finiamo nel
cadere. Il pericolo, dunque, è prezioso? Beh, senz’altro è inseparabile dalla
vita e se cerchiamo di annullarlo per sempre ne diventiamo vittime. Ecco,
allora, che in questi casi si usa una frase misteriosa di un poeta tedesco,
Holderlin: “Là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”. Suggestiva. Sennonché,
la frase non solo va interpretata come un elogio o la necessità del pericolo
per avere una vita umana, ma può anche esser compresa in un senso
anti-totalitario. Così: lì dove cresce ciò che salva c’è il massimo pericolo.
Infatti, l’idea di ottenere una salvezza totale e immunizzante della vita
tramite la conoscenza è quel pericolo totalitario che nel Novecento voleva il
Paradiso e ha realizzato l’Inferno. Il pericolo totalitario, come dimostra la
storia distopica che stiamo vivendo, ritorna ciclicamente a farci visita.
Il
sogno della scienza è rispondere a tutte le domande della vita. Per fortuna, il
sogno è destinato a restare un sogno. Se si realizzasse sarebbe un incubo. La scienza,
infatti, è tale non perché infallibile ma, al contrario, proprio perché è
fallibile. La scienza non annulla gli errori, se ne nutre, vive di errori,
altrimenti non potrebbe essere utile. Tra la razionalità della scienza e
la realtà della vita c’è un gap, un salto, una frattura non colmabile. Siamo
esseri liberi proprio perché la razionalità scientifica non adegua la realtà
della vita. Tuttavia, siamo continuamente tentati dall’usare la razionalità
scientifica per colmare il gap con la realtà della vita. Perché? Perché
attraverso quella razionalità riusciamo ad avere sicurezza ed a controllare la
vita. Ma fino a che punto è possibile questa pratica? Fino al punto in cui la
sicurezza si rovescia in insicurezza e la scienza perde sé stessa per essere
andata oltre ciò che può dare il suo metodo. Il limite della scienza non è l’etica
ma la non-convenienza.
Gli
spiriti liberali del secolo scorso – Ortega, Croce, Aron, Berlin, per citarne
alcuni – hanno sempre messo in guardia dall’usare il metodo scientifico per
risolvere problemi di carattere politico, sociale, morale. Ortega, in particolare,
nota in quel gran libro che è La ribellione delle masse che gli uomini
di scienza, che tanto utili sono nella loro “materia”, diventano dannatamente
grossolani quando passano ad occuparsi di problemi morali o politici o
religiosi. Purtroppo, il più delle volte sono gli uomini politici che, non
sapendo cosa fare, si appellano agli scienziati affinché con il loro sapere
risolvano la spinosa situazione. A questo punto, come si vede molto bene nel
caso dell’epidemia di Covid-19 scappata di mano, gli scienziati son portati a
risolvere un problema non con la scienza ma con la magia proprio perché il loro
sapere portato al di fuori dei suoi limiti metodici e sperimentali gira a vuoto.
Il risultato è che oltre alla perdita della autorità politica si aggiunge la
perdita dell’autorità scientifica. Il che è ciò che è accaduto sotto i nostri
occhi.
Trascinare
il metodo scientifico sul campo politico per rispondere a domande morali e
vitali è sbagliato metodologicamente e pericoloso politicamente. Si entra nel
campo dei miti, della magia, della propaganda, della metafisica, della illibertà,
degli arbitri, degli abusi. Nasce così il pericolo totalitario che non è
antico, né medievale, né anti-moderno ma è un figlio prediletto della Modernità
in cui proprio con l’autonomia del metodo scientifico si fa più stretta la
tentazione di unire indebitamente verità e potere, che è il sogno non solo di
tutti i profeti disarmati ma anche di tutti i bugiardi metafisici e i
dittatorelli di paese. Quando poi la verità e il potere riguardano la salute e
la malattia, risvegliando paure e istinti primordiali, ecco che il pericolo
totalitario prende la contemporanea forma sinistra di uno stato mondiale di
polizia sanitaria. E così, come in tutti i regimi totalitari, oggi è l’umanità
stessa ad essere il male da sanificare.