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Carlo III e il controllo del catasto

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 26 Agosto 2019
Tags: BorboneCarloIIITeleseJacobelli

di Alessandro Liverini

La edizione del “Catasto dell’Università del Castello di Campagnano in Provincia di Terra di Lavoro - Anno MDCCXLIV” e del “Libro del Catasto di tutto il tenimento di Squille”- trascritti e curati dal professore Pasquale Cusano - costituisce una fertile occasione per ragionare sulle connessioni esistenti tra il regno di Carlo III di Borbone (limitatamente alla fase di emancipazione dalla corona spagnola coincidente con la sostituzione dei consiglieri spagnoli, il Conte di Santisteban e il Marchese di Montealegre, con il consigliere toscano Bernardo Tanucci) ed il “decennio francese”. Dunque, delle connessioni tra la istituzione del catasto onciario (ordinata con dispaccio del 4 ottobre 1740 ed eseguita con prammatica del 17 marzo 1741) e la abolizione del sistema feudale (disposta con legge del 2 agosto 1806 ed eseguita con ulteriori disposizioni per la liquidazione degli usi civici e per la divisione dei demani comunali).

Secondo l’impostazione storiografica dominante il così detto “decennio francese” (che va dal 14 gennaio 1806 - allorquando Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, diventa re di Napoli - al 20 maggio 1815 - allorquando, con la stipula di Trattato di Casalanza successiva alle sconfitte di Occhiobello e Tolentino, i Borbone tornarono al potere ed al quale si è soliti addizionare la brevissima esperienza della repubblica partenopea del 1799) è da considerarsi per il meridione d’Italia, non soltanto un periodo di sostanziale modernizzazione politico-istituzionale e socio-economica, ma una fase di radicale mutamento, di discontinuità o, come si dice in gergo, di «frattura storica», di «saltum». E si è soliti individuare nella abolizione della feudalità (o, come spesso si sente dire, nella «eversione della feudalità») il fattore cardinale della svolta.

Non è proprio così. In effetti, se è vero che l’abolizione della feudalità produsse una importantissima redistribuzione fondiaria, tale da costituire la radice storica dei futuri assetti proprietari in Campania, è altrettanto vero che la stessa non determinò né il superamento del latifondismo, né la modifica dei rapporti di forza socio-economici. Gli ex feudatari continuarono a controllare i fattori produttivi. Non è per mero caso che di lì a poco si crearono le condizioni per il ritorno al potere dei Borbone.

Le prime isolate esperienze di innovazione produttiva e di imprenditorialità privata, nel meridione italiano, sono abbastanza distanti dal decennio francese e sono tutte riconducibili al protagonismo individuale, il quale, peraltro, innervandosi nel flusso delle idee liberali, e combinando la disponibilità di nuove tecnologie con le risorse naturali territoriali, rappresentò uno dei principali fattori genetici della borghesia nazionale e, dunque, della nascita dello stato italiano.

Ne è esempio evidentissimo - nelle nostre terre - la figura di Achille Jacobelli; per tanto tempo obliata dalla storiografia e, addirittura, calunniata dalla vulgata e solo di recente riabilitata dallo studioso sanlupese Ugo Simeone (con l’opera “Achille Jacobelli. Il cavaliere. Un personaggio controverso dell’alta borghesia risorgimentale tra Sannio e Molise”) e, da ultimo, seppur con riferimento ai soli fatti di Pontelandolfo, dal giornalista e scrittore Giancristiano Desiderio (con l’opera “Pontelandofo 1861. Tutta un’altra storia”). Mi riferisco, segnatamente, e tra le altre numerose opere, alla vera e propria ri-fondazione della città di Telese, attraverso la valorizzazione produttiva delle acque (con la ristrutturazione dei mulini e la costruzione di una segheria idraulica), la edificazione di uno stabilimento termale (le così dette Antiche terme Jacobelli), la facilitazione (mercé la valorizzazione della conoscenza personale di re Ferdinando II) nella costruzione dello stabilimento termale provinciale (le odierne Terme di Telese), la costruzione di una rete stradale locale e la ristrutturazione dei principali edifici della frazione solopachese, la progettazione (poi mai eseguita) di un innovativo sistema idraulico di irrigazione. Tutto ciò fu realizzato a valle di una preliminare - ma esiziale - operazione edilizia: la costruzione del ponte sul Calore al Torello di Melizzano, così da deviare i traffici commerciali (passanti per la strada consolare sannitica e congiungenti Napoli con Campobasso e poi Termoli) verso la Valle telesina e Telese, bypassando il tratto pedemontano passante per Solopaca.

Così svalutata la portata innovatrice dell’abolizione della feudalità sul terreno socio-economico, essa può essere più correttamente interpretata come momento di continuazione del processo di modernizzazione politico-istituzionale del regno di Napoli avviato, appunto, nel XVIII secolo e, segnatamente, negli anni di Carlo III e di Bernardo Tanucci, i quali, peraltro, si avvalsero del rinnovato clima culturale e del favore di una giovane classe di intellettuali e giuristi. Rilevo, incidentalmente, che la riabilitazione storiografica di Carlo III di Borbone risale a Benedetto Croce, il quale, in una recensione dell’opera “Il regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone” pubblicata dallo storico Michelangelo Schipa nel 1904 (recensione apparsa su “La critica” del medesimo anno), sostenne - richiamando il giudizio politico di Pietro Colletta - che Carlo III fosse “il primo Borbone di Napoli, non borbonico”. Al giudizio storiografico crociano ha aderito, più di recente, Giuseppe Galasso, affermando che il regime carolino ha segnato l’inizio della “ora più bella della storia di Napoli”.

Se è vero, allora, che il catasto onciario rappresentò sul terreno del mutamento dei rapporti di forza politici e socio-economici una “rivoluzione mancata”, è altrettanto vero che esso rappresentò uno dei primi atti con i quali Carlo III intese avviare il processo di costruzione di uno stato moderno. Il sistema feudale fu conservato dalla istituzione del catasto onciario, ma fu funzionalizzato alla determinazione di un assetto di potere centrale. La conoscenza capillare del territorio e dell’esatta collocazione e consistenza dei compendi proprietari dei baroni e della chiesa costituì il necessario antefatto della politica di recupero delle terre feudali (e dunque di progressivo assottigliamento del pesa specifico dei feudatari) compiuta qualche decennio dopo anche grazie al contributo di giuristi come Giacinto Dragonetti, che sostenne la natura pubblicistica dell’origine dei feudi e, quindi, la superiorità del potere statuale monarchico sui particolarismi baronali. Costituì, inoltre, il presupposto per l’avvio del processo di laicizzazione dello stato. Si pensi al “Trattato di accomodamento” del 1741, con il quale Carlo III riuscì ad imporre la tassazione dei beni privati della vastissima classe clericale.

La stessa cosa avevano provato a fare Alfonso e Ferrante d’Aragona nella metà del XV secolo - anche in quel caso con la istituzione di un catasto, la ristrutturazione del sistema fiscale e la politica di recupero delle terre baronali - dovendosi successivamente scontrare con una violenta rivolta baronale (la congiura dei baroni del 1485) e con una fase di rifeudalizzazione avvenuta nel meridione d’Italia nel XVI secolo, allorquando, anche grazie allo sviluppo dei commerci, il ricco ceto mercantile investì il denaro nell’acquisto di feudi per assimilarsi all’aristocrazia feudale.

In definitiva, la istituzione del catasto onciario ha innescato - sul terreno politico-istituzionale - una innovazione più radicale di quella prodotta - sul terreno socio-economico - dalla eversione della feudalità. Il processo storico di modernizzazione istituzionale e di laicizzazione del sistema socio-politico italiano - compiuto con la nascita di uno stato nazionale liberale e passante per la stagione risorgimentale - affonda le sue radici anche nel meridione italiano, ove il decennio francese e l’abolizione della feudalità più che rappresentare un evento fondativo, originario, epocale in discontinuità con il passato, va interpretato come fase di rivitalizzazione di un percorso avviato più di mezzo secolo prima.



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