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Cialdini e le "scuse" del Sud

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Italia mia benché · 2 Marzo 2019
Tags: CialdiniNapoliPontelandolfoDesiderio


di Luigi Ruscello

Come giudicare la decisione della Camera di Commercio di Napoli di spostare il busto del Generale Cialdini dal Salone d’onore, oppure le delibere comunali che cambiano denominazioni a vie e piazze, oppure ancora le revoche di cittadinanze onorarie di personaggi legati al Risorgimento?

Tutte queste iniziative hanno un comune denominatore: il rancoroso e retorico patriottismo sudista. In particolare, però, è la figura del Generale Cialdini a farla da padrona, perché egli rappresenta l’elemento scatenante, essendo accusato di ogni e possibile nefandezza nei confronti di noi meridionali. Cosicché è condannato senza appello. Ciò, per quanto ovvio, non significa che non vi furono effettivamente violenze. La narrazione, però, è sempre e soltanto a senso unico: noi meridionali i buoni e gli invasori “piemontesi” i cattivi. Ma le cose stanno veramente così?

La domanda è lecita, specie per noi beneventani, in quanto l’episodio più eclatante che viene sempre richiamato è il famoso “eccidio di Pontelandolfo e Casalduni”, per il quale il Comune di Pontelandolfo ha ottenuto nientemeno che l’appellativo di “martire”. Ma non solo, perché nel 2011, centocinquantesimo anniversario dell’Unità, l’allora Presidente della Repubblica Napolitano, mediante il Presidente del Comitato per la celebrazione, Giuliano Amato, porse le scuse dell’Italia per le infamie subite.
 
Parafrasando Manzoni c’è da chiedersi: fu vera strage?

Secondo una copiosa letteratura, la risposta è sicuramente affermativa, ma, al di là dell’unica certezza, cioè l’incendio, non si riesce a trovare mai un numero di morti che combaci tra due delle tante versioni circolanti. Si parte da 146, per passare a 400 fino a raggiungere le 1.463 unità. Per la verità, già nel 1863, per mano del Tanzillo, era stata sparata la prima fake news, adombrando addirittura 8.000 vittime.
 
Il vero numero, invece, è di soli 13 morti, come dimostrato dallo studio di padre Davide Panella e ora confermato nel suo ultimo libro Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia (Rubbettino) da Giancristiano Desiderio, il quale, peraltro, non si ferma ai numeri, bensì effettua una rigorosa analisi storica, ricostruendo, in base a inoppugnabili documenti, come si svolsero effettivamente i fatti, confutando così anche la tesi della rappresaglia. Ma la verità non fa gioco a chi punta solo sulla “pancia” per acquisire facili consensi.
 
Oggi, purtroppo, è il tifo “senza se e senza ma” che la fa da padrone, con l’aggravante, non solo della totale assenza di ragionevolezza, quanto dell’ignoranza.
 
Ma quello che più mi addolora è constatare, giorno dopo giorno, che uno strato sempre più vasto della società meridionale, compresa quella cosiddetta “acculturata”, tende ad abbracciare la tesi secondo cui le responsabilità siano esclusivamente del Nord o, come si suol dire, dei “piemontesi”.
 
In un mio studio sulla questione meridionale, edito proprio tre anni fa, ritengo di aver dimostrato con documenti e dati come, concretamente, il Sud sia stato ed è penalizzato dalle politiche economiche adottate nel tempo. Tuttavia, non da sudista, bensì da meridionalista, esposi anche le nostre responsabilità, che non sono poche.
 
A questo punto, il cortese lettore si chiederà cosa centri la secessione dei ricchi. Ebbene, di fronte alla legittima richiesta di autonomia differenziata avanzata delle tre regioni del Nord, come rispondiamo noi meridionali? Con un paradosso: paventando un colpo di stato che provocherebbe la rottura dell’unità nazionale.

Da un lato, dunque, si chiedono scuse e risarcimenti, dall’altro, si pretende di negare un diritto sancito dalla costituzione più bella del mondo (art. 116, c. 3), sempreché, è bene precisarlo, l’autonomia sia realizzata secondo il dettato della costituzione stessa. Ma noi meridionali, come ho già scritto in un precedente intervento, nel 2001 approvammo la cancellazione del Mezzogiorno dall’art. 119 senza batter ciglio.
 
Insomma, e per concludere, è Cialdini che ci impedisce di ben amministrare o la nostra incapacità?




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