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Come Telese perse il vescovo ma non Santo Stefano

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 27 Giugno 2019
Tags: telesevescovocerretosantostefano

di Alessandro Liverini

Il trasferimento della sede vescovile da Telese a Cerreto non fu disposto - per decisione istantanea - a seguito del terremoto del 1349, ma fu l’effetto di un lungo e travagliato processo storico.

Clemente Vescovo (1407) fu il primo a non tollerare le mofete telesine ed andò a vivere presso il castello della Rocca di San Salvatore (Massa Superiore). Marcuzio Brancia (1413) imitò il suo esempio, ma si trasferì a Cerreto, inaugurando quella che poi, con Eugenio Savino (1596), diverrà dimora definitiva. A questi, infatti, il cerretese Sisto Mazzacane, nel 1600, donò un “palatium plurium membrorum cum cortilio, cella vinaria, stabulo et aliis membris terraneis”.

La cattedra resistette ancora per poco a Telese: l’ultimo grande evento vi si tenne nel 1605, allorquando, alla morte del vescovo Placido De Faba, i canonici telesini vi si riunirono per eleggere il vicario capitolare. Di lì a poco, però, il vescovo Francesco Leone (1608) chiese ed ottenne dalla S. Congregazione dei Vescovi il trasferimento definitivo della cattedrale da Telese (intitolata alla SS. Trinità) a Cerreto (intitolata a S. Leonardo). Era il 22 Maggio 1612. Telese – che visse da protagonista l’antichità ed il medioevo – uscì dalla storia moderna. I successivi tentativi di mettere in discussione tale epilogo – come le doglianze del duca di Solopaca Bartolomeo Grimaldi (1629) – si sciolsero nella tristissima verità enunciata da monsignor Bartolomeo Gambacorta: “Non il popolo telesino, che non c’è, ma i canonici di S. Martino hanno organizzato la contestazione; e quanto al duca, questi solo perché istigato ha inoltrato la petizione, e poco o nulla pensa al servizio di detta cattedrale, mentre have altro da fare e non certo di riparare li danni alli territori di Telesio e del feudo vescovile di S. Agatella che fanno li suoi animali. Che anzi il suo predecessore da ben 22 anni, aveva devastato lo stesso palazzo ducale di Telesio, asportandone i pezzi per riparare la gualchiera, il mulino e il palazzo che si andava costruendo in Solopaca”.

Oltre a resistere per impedire lo spostamento della sede episcopale, i telesini - i pochissimi abitatori di questa terra paludosa, unitamente ai residenti nella vicina Solopaca o in San Salvatore - resistettero anche per impedire la traslazione delle reliquie dei santi da Telese a Cerreto. Va precisato che le reliquie erano presenti sia nella Cattedrale sia nella Chiesa di Santo Stefano. Nel 1584, infatti, essi impedirono con la forza la traslazione, presso la Chiesa Collegiata di San Martino di Cerreto, delle reliquie custodite nella Chiesa parrocchiale di Santo Stefano. La descrizione – tratta dagli “Atti criminali” dell’Archivio della Cura Vescovile di Cerreto del medesimo anno e riportata da Renato Pescitelli in “Chiesa Telesina” del 1977 – è di straordinaria forza: “tutti li homini et donne grandi e piccoli venivano armati con pali, forcine et spate… a S. Stefano …dove essendo giunti tre preti… che pigliavano le reliquie che stavano dintro detta ecclesia per levarle da là et portarle in altro loco, essendone gelosi di dette reliquie, et disderando che non si levassero de la ecclesia predetta, ferno violentia a detti preti… inserrandoli dentro detta chiesa, et suonando le campane ad arme”. I tre preti - sequestrati nella Chiesa di Santo Stefano - erano Giovanni Verzella di San Salvatore e Pietro Antonio Guarino e Geronimo Baccalà di Cerreto.

Se la cattedrale declinò lentamente - tanto è vero che la pianta a tre navate è ancora visibile a est della torre campanaria - e a ridosso della odierna Via Roma - la prima Chiesa parrocchiale di Santo Stefano scomparve nel volger di pochi anni. Dopo le violenze del 1584, infatti, non si hanno più notizie ufficiali. Secondo lo storico Renato Pescitelli - non essendo menzionata nella “Relazione ad limina di Mons. Savino del 1599”, nè negli “Atti di S. Visita per Mons. Gambacorta del 1616” - è da supporre che la stessa alla fine del XVI secolo era del tutto crollata. Non è dato conoscere il motivo, ma, al tempo della lotta per lo spostamento della sede episcopale da Telese a Cerreto, terminò la vita della prima chiesa di Santo Stefano.

Della seconda Chiesa di Santo Stefano - costruita ex novo dal duca Bartolomeo Grimaldi nel XVIII secolo e abbattuta negli anni cinquanta del novecento - molti telesini viventi ne ricordano la bellezza. Il matrimonio dei miei nonni fu uno degli ultimi celebrati al suo interno.
Nel corso del XIX secolo, la Chiesa di Santo Stefano ospitò il culto della Madonna dell’Annunziata. Ne è riprova il fatto che nel 1831 e nel 1846 vi furono importanti furti di ori e argenti donati per ornamento al quadro della Madonna e che nel mese di ottobre del 1846 fu benedetta una nuova statua della Madonna dell’Annunziata, realizzata dall’artista Giacomo Leone di S. Lorenzo Minore. Fu a lungo rettore della Chiesa di Santo Stefano don Bartolomeo Cutillo.

Nel 1860 il cavaliere Achille Jacobelli la ristrutturò. Così ne parla il notaio Romanelli nel suo diario: “In questo anno è principiata la riforma della chiesa predetta di Telese. Dessa prima dell’attuale forma datale dal cav. Iacobelli, incaricato di tal riforma, evea la sua porta al settentrione, l’altare maggiore all’occidente, ed un altro altare al mezzodì, ora la porta si è stabilita all’occidente, e le si sono fatte delle aggiunzioni dalla porta di levante, e da ponente, siccome si vede, nel mese di giugno di detto anno vi stanno a travagliare quattro stuccatori, i quali la stanno rendendo bella, ed elegante”.
Successivamente, sul finire del XIX secolo, grazie a monsignor Luigi Sodo e a monsignor Iannacchino ridivenne parrocchia. Il suo primo parroco, dopo il rettorato di don Bartolomeo Cutillo, fu Don Vincenzo Del Vecchio, nominato il giorno 8 Luglio 1893.
La terza Chiesa di Santo Stefano - la contemporanea - è quella che oggi appare a noi.



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