di Luigi Ruscello
Il 27 gennaio
2017 il Presidente americano Trump ha firmato il cosiddetto “Muslim ban”. Con
tale atto, ordinò la sospensione per 120 giorni dell’accoglienza dei rifugiati
e limitò l’ingresso dei musulmani nel paese. Sospese anche per 90 giorni il visto alle persone (anche
quelle con doppia nazionalità) provenienti da sette paesi a maggioranza
islamica: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen. Ma, come messo in
risalto da Al Jazeera, non è la prima volta che gli Stati Uniti bandiscono
gruppi sociali specifici o immigrati, essendo già accaduto per altre sei volte.
In realtà è fin dal 1790 che negli Stati
Uniti vi sono norme limitanti l’immigrazione. Un primo provvedimento in tal senso, infatti, è il Naturalization Act del 1790, che è il primo statuto
per la naturalizzazione e affermava che i maschi bianchi non indentificati
dovevano vivere negli Stati Uniti per due anni prima di diventare cittadini. Tale
provvedimento venne modificato nel 1795, nel 1798 e nel 1802. Nel 1843, poi, fu
fondato a New York, dai cittadini contrari all'aumento del numero di immigrati,
il partito repubblicano americano (in seguito diventerà noto come il partito
dei nativi americani).
È
all’inizio degli anni Ottanta, invece, che le norme riguardano anche gli
italiani perché il 26 febbraio 1885 il Congresso, dopo aver vietato nel 1882
l’ingresso di lavoratori cinesi, approvò il cosiddetto Foran Act, con il quale
si vietava alle persone o alle organizzazioni americane di stipulare contratti
di lavoro con individui prima della loro immigrazione negli Stati Uniti, e
proibiva ai capitani delle navi di trasportare immigrati con contratti di
lavoro.
Si
temeva, a ragione, che le mercedi pattuite, essendo in molti casi assai
inferiori ai salari americani, potessero, a lungo andare, esercitare su questi
ultimi una dannosa concorrenza, con forte detrimento del benessere degli operai
americani.
Agli inizi del Novecento, poi,
il Congresso approvò il primo provvedimento in forza del quale gli immigrati
erano banditi sulla base di convinzioni politiche. Si tratta dell’Anarchist
Exclusion Act emanato nel 1903.
Si sono susseguiti poi
numerosissimi provvedimenti fino ai giorni nostri, compresi quelli che, definendo
talune quote di ingresso, e in uno alle restrizioni fasciste, contribuirono a
ridurre il numero degli emigranti italiani tra le due guerre del secolo scorso.
In conclusione, il motivo di
questo sommario e incompleto excursus
sta nel fatto che molti, nell’instaurare paragoni tra gli attuali immigrati in
Italia e i nostri emigranti, sostengono che i nostri erano di seria A, in
quanto, erano già dotati di regolari contratti di lavoro e che non andavano
alla completa ventura.
Come si è visto, invece, ancor
prima della cosiddetta “grande emigrazione” vi erano regole e divieti tali che
non sostengono tale tesi.