di Antonio Medici
All’ottantacinquesimo minuto, dei novanta regolamentari, un
impulso di sincero dolore e rassegnazione all’irrimediabile risultato deve aver
prevalso sugli ordini dei capi ultras della curva sud o travolto la loro stessa
speme, quella che li aiutava a reggersi in bilico sulla balaustra, a torso nudo
sotto una pioggia pungente, trasformando l’incessante tambureggiare
d’accompagnamento agli esaltanti cori di incitamento in un cupo lamento monotòno.
Sono passati col sottofondo di quel requiem spontaneo e
condiviso anche gli interminabili sette minuti di recupero di Benevento -
Cittadella, semifinale di ritorno dei playoff del campionato di serie B
2018/2019.
Quel lamento funebre, angosciante ed espiatorio quanto
quelli lucani esplorati dal De Martino, è esploso dall’incredulità dei
diecimila spettatori beneventani, collettivizzando il dolore spengendo ogni
impulso d’ira e contestazione, risultata isolata nella voce sguaiata di qualche
invasato. Quel lamento, al contempo, ha enfatizzato il modesto fracasso di
tamburi e salti, delle braccia e voci, vibranti di una gioia imprevista, della
quarantina di prodi veneti giunti ai margini del Sabato, più per un atto
meccanico di fede che per una speranza che pareva non aver ragione nella logica
delle forze in campo e dei risultati già acquisiti.
Il calcio, però, a volte è senza ragione e l’impensabile
si fa realtà, addirittura diviene ragionevole.
Ragionevolissima è stata la vittoria del Cittadella,
uscito tra gli applausi delle tribune di uno stadio mai ostile agli ospiti. La
squadra del piccolo centro veneto ha giocato con ordine dal fischio d’inizio, approfittando
(e questo è un merito) dello psicodramma che ha annebbiato le menti e confuso i
piedi dei giallorossi e del loro trainer dopo il primo gol subito. Una
cosiddetta papera del portiere, un gol inatteso, una saetta che ha bruciato i
muscoli e fatto evaporare l’adrenalina.
La partita è finita lì, il Benevento è morto lì. Non per
caso dopo pochi secondi sono arrivati un palo e il secondo gol del Cittadella.
L’immaginabile discussione nello spogliatoio, la bevanda
corroborante, il cambio delle casacche fradicie d’acqua non sono serviti a
nulla. Il Benevento è tornato in campo più confuso di come aveva chiuso i primi
quarantacinque minuti e se il risultato finale (0–3) non è stato più pesante, è
stato solo per effetto di un fuorigioco millimetrico che ha determinato
l’annullamento del quarto gol subito.
Il Benevento partiva da una doppia condizione di
vantaggio, piazzamento di classifica e risultato dell’andata, ma è sceso in
campo senza la lucidità e l’agonismo corrispondenti alla rilevanza della posta
in gioco, né ha trovato trai suoi uomini una leadership capace di assumere la responsabilità
di suonare la Carica.
In questo e nell’assenza di un entusiasmo trainante la
squadra è apparsa in grande sintonia con la città. Benevento è parsa vivere
l’accesso ai playoff e la prospettiva di un ritorno nella massima divisione
calcistica nazionale con sufficienza, come se quella doppia promozione di due e
tre anni fosse stata sufficientemente appagante, quasi come se fosse un turbamento
eccessivo un ulteriore avanzamento. A ben pensarci la quiete delle ambizioni è
la cifra sociale e l’imperturbabile lascito della storia.
Non può essere casuale, del resto, che l’imprenditore
riuscito nell’impresa di far grande il calcio della città che fu papalina, non
sia un beneventano. Oreste Vigorito ha allestito una squadra competitiva sotto
ogni punto di vista e il risultato del campionato appena concluso deve comunque
essere valutato positivamente. Quarta sul campo, in un campionato difficile,
dopo una retrocessione pesante.
Risultato che garantisce un ulteriore anno di ribalta,
perché la serie B assicura comunque grande visibilità, un altro anno di calcio
di buon livello cui assistere allo stadio. Non è poco e va considerato con
rispetto.
Molti abbonati non hanno esercitato la prelazione per
assistere alla semifinale col Cittadella, svoltasi in uno stadio che non è
stato pieno come avrebbe dovuto essere e come sarebbe stato lecito attendersi.
C’è da auspicare non siano stati questi i primi segnali di una sorta di
assuefazione e distacco che sfoci a breve in una modesta vendita di abbonamenti
per il prossimo campionato.
Abbiamo sempre pensato e scritto che la promozione in
serie A non doveva conferire a Vigorito un’aura di santità e incriticabilità,
del pari pensiamo che sforzo di chi allestisce formazioni competitive, dà alla città
una rinomanza sportiva mai avuta prima e un intrattenimento calcistico di alto
decoro vada ripagato con la presenza allo stadio.