di Alessandro Liverini
Nel
mio ultimo lavoro “Telese moderna. Protagonisti e storie della terza comunità
telesina”, edito dalla casa editrice “Edizioni 2000Diciassette”, ho sostenuto
una precisa tesi storiografica: che la Telese contemporanea - la Telese che noi
oggi abitiamo - non sia l’effetto storico dell’autonomia comunale (ottenuta nel
1934 per distaccamento dal Comune di Solopaca) bensì la definitiva affermazione
di una comunità sociale-politica-economica - la “Telese moderna” appunto - la
quale, da un lato si pone quale causa dell’autonomia comunale del 1934,
dall’altro lato costituisce la riemersione (direi pure, la continuazione) della
Telesia antica (rectius, romana) e della Telesis nova medievale.
Sia
detto, incidentalmente, che la collocazione topografica della Telese
altomedievale antecedente alla Telesis nova (questa, di sicuro, riedificata
nell’attuale località episcopio di Telese Terme) rappresenta un problema
storiografico ancora aperto. Segnatamente, si dibatte ancora sul “se” il
capoluogo del gastaldato longobardo (la Telese alto-medievale appunto) - prima
preso d’assalto e distrutto dai saraceni nel IX secolo d.C., poi ricostruito
“in planitiem sui cognominis” (la Telesis nova appunto) - si trovasse già
nell’area attualmente pertinente alla Telese contemporanea (Grassano,
Potechelle, Episcopio) oppure “se” fosse collocata all’interno e nelle
pertinenze delle mura romane (dunque nell’area attualmente pertinente a San
Salvatore Telesino).
Tanto
precisato, ritengo che - quale che sia la precisa collocazione topografica
della Telese alto-medievale (se, per intenderci, nella odierna San Salvatore
Telesino ovvero nella odierna Telese Terme) - non possa essere revocato in
dubbio il fatto che la Telese medievale (che io ho definito la “seconda
Telese”) sia entità storica unitaria collegata alla Telesia romana da un
elemento specifico: fino al 1349 (l’anno del terribile terremoto) essa gioca il
ruolo di baricentro geografico-politico-economico-religioso dell’intero Sannio
Telesino (nel triangolo definito dai fiumi Calore Volturno e Titerno). Ne sono
testimonianza gli importantissimi Statuti
di Telese risalenti al XIV secolo, la prima diocesi con la cattedrale e le
documentate donazioni dei fedeli ai monasteri di San Vincenzo al Volturno e
Montecassino.
Da
quel momento in poi, però, lentamente Telese declinò. Iniziò un processo
storico centrifugo, che condusse al suo svuotamento e alla implementazione
urbanistica-demografica-economica dei vici
e dei castra limitrofi (Solopaca,
San Salvatore, Puglianello, Castelvenere, Cerreto, Guardia, San Lorenzello).
Resistettero a Telese solo pochissimi contadini. E i mugnai, la cui attività,
come ho sostenuto in una recente pubblicazione, non subì soluzioni di
continuità.
Il
mito di una grande Telese, però, non si estinse e attraversò i secoli nella
mente e nel cuore degli abitatori e dei frequentatori di queste terre.
Si pensi al
feudatario Cristoforo Grimaldi, il quale, nel 1572, comprò e infeudò Telese e
assunse l’obbligo di riportarla agli antichi fasti. Libero Petrucci, nel volume
“Storia di Telese”, ci dice che il Grimaldi “ergé a sé un Palazzo … costruì
molte case …. cinse o meglio rifece le mura antiche, e dopo chiamò delle
famiglie da’ Comuni limitrofi per aumentare il numero de’ Cittadini”. Sempre il
Petrucci sostiene che tutto ciò era testimoniato da una “lapida, che prima
esisteva in Telese sul ponte, che dà il passaggio alle acque, che animano i
molini” (e che poi nel 1846 fu trasportata a Napoli nella villa del marchese di
Pietracatella Don Giuseppe Ceva Grimaldi) e che suonava così: “Vetustiss. Samnitum
/ Telesium / Viris RomoaldoR. Cladib / Funditus eversum / Cristofarus Grimaldi
/ Incolis et muris /Restituit”.
Si pensi,
inoltre, ai locali movimenti massonici e carbonari ottocenteschi, i quali, pur
orbitando attorno ai centri di Cerreto e Guardia Sanframondi, assunsero il nome
di “Telesini risorti”.
Ebbene,
come ho avuto modo di sostenere nella mia ultima opera, con l’eversione della
feudalità, all’inizio del XIX secolo, il processo storico centrifugo si
trasforma in processo storico centripeto. Inizia a vivere la terza Telese, la
Telese moderna. Grazie alla liberalizzazione della proprietà terriere,
all’opera visionaria di Achille Jacobelli, al passaggio della ferrovia, alla
scoperta delle proprietà delle acque solfuree, Telese inizia a vivere una nuova
vita. Libero Petrucci, chiude la sua opera più importante - Storia di Telese -
cogliendo la fase embrionale di questo enorme processo storico. Della Telese di
metà ottocento scrive: “è un decennio che il Cavaliere Achille Jacobelli di S.
Lupo avendo comprato i molini, e la Taverna, ha pensato al Paese. Egli oltre di
aver aumentate le macine de’ molini, oltre di aver aggiunte altre fabbriche
servienti alla sega de’ marmi idraulici, che ivi ha stabilito, oltre di aver
nettato i corsi, e coverti, che in qualché maniera sonosi diminuite
l’esalazioni miasmatiche, oltre di aver tolto i stagni, che impaludavano
nell’Abitato, ha reso Telese il centro di tutte le Strade Regie di questi
contorni. Ora si sta principiando la ferrovia, che avrà una delle Stazioni in Telese.
Chi conosce Telese un decennio dietro resta meravigliato de’ miglioramenti, che
si sono eseguiti, e può dirsi che Telese sia risorta nuovamente a vita Civile”.
I paesi limitrofi
si svuotano e Telese cresce. Non è per mero caso se oggi Telese sia l’unico
comune della zona in crescita demografica. Ciò è la risultante di un processo
storico che inizia nel XIX secolo.
Se tutti gli attori politici e
sociali della zona avranno la capacità o il coraggio di comprendere che questo
processo storico è ineluttabile, e lavoreranno a consolidare la centralità di
Telese, facendo massa critica per competere con altri territori sul livello
regionale e nazionale, allora potremo sperare nel successo di tutta la nostra
parte di Sannio. Se, invece, continueranno - gli attori politici e sociali dei
paesi limitrofi - a lavorare in direzione contraria, illudendosi di per
ostacolare questo processo, in un’ottica di isolazionismo protezionistico e
campanilistico, faranno un danno enorme non tanto a Telese quanto ai loro stessi
comuni.