di Giancristiano Desiderio
Di cosa parliamo quando
parliamo di libertà della scuola? Iniziamo col dire di cosa non parliamo: né
del finanziamento degli istituti paritari, né delle diseguaglianze. Entrambi
questi temi e realtà già ricadono a pieno titolo nel sistema della scuola di Stato
di tipo monopolista che vige in Italia. Dunque, di cosa parliamo? Di cosa è la
scuola e di cosa non è la scuola in Italia. Spero che se ne discuterà nel
convegno del 13 febbraio Libera Scuola in libero Stato a Palazzo
Giustiniani.
La libertà della scuola è
la libertà della cultura che fonda sé stessa. La cultura è un auto-valore che
lo Stato, nel suo stesso interesse, deve solo ri-conoscere. Infatti, non è la
cultura che ha bisogno dello Stato ma è lo Stato che ha bisogno della cultura.
Lo Stato non può decidere ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bello e
ciò che è brutto, ciò che è bene e ciò che è male. Lo Stato, il governo, il
Parlamento, i partiti, i sindacati non sono e non possono essere il fondamento
della matematica, della scienza, della storiografia e, insomma, della cultura,
ma in Italia si pensa e ci si comporta come se lo fossero: lo Stato, i partiti,
i sindacati sono di fatto e di diritto i proprietari della scuola che usano per
i loro scopi amministrativi, elettorali, corporativi. E’ il vero dramma della
democrazia italiana. Un manicomio con milioni di pazzi che credono di essere
savi.
Questo dramma di una
follia collettiva possiamo vederlo anche in un altro modo. Esistono solo due
tipi di scuola: la scuola di Stato e la scuola libera. La differenza è questa:
mentre il sistema della scuola di Stato esclude la scuola libera, il sistema
della scuola libera include la scuola di Stato. Sbagliano, dunque, coloro che
vedono nella libertà della scuola una minaccia per la scuola di Stato. La scuola
libera, al contrario, favorisce la scuola di Stato, a patto che quest’ultima
non sia monopolista. Purtroppo, in Italia esiste il monopolio statale
dell’istruzione.
Molti, per non dir tutti,
di coloro che parlano di scuola ignorano la differenza tra modello statale e
libertà. Si crede che la scuola sia per natura “di Stato” e non ci si avvede
che “scuola di Stato” significa “religione di Stato”. Eppure, la differenza è
tale non solo sul piano teorico ma anche sul piano storico. Infatti, in Italia
la scuola di Stato non è sempre stata monopolista. Ad esempio, nel periodo
dello Stato liberale la scuola di Stato, che pur dovette fronteggiare il
monopolio culturale della Chiesa, non era monopolista. Lo divenne nel 1923
allorché il governo Mussolini, non con la riforma scolastica ma con quella
della pubblica amministrazione, introdusse il valore legale dei titoli di
studio. In questo modo lo Stato, che altro non è che un atto di forza a cui si
dà valore legale, statizzava la scuola e spostava il valore della libera
conquista della cultura al possesso del diploma che, in quanto tale, certifica
sia la conoscenza, quando c’è, sia l’abbondante ignoranza promuovendola a
valore. In altre parole, lo Stato diventava padrone della scuola e la usava ai
suoi fini amministrativi, con gli insegnanti che diventavano impiegati, quali
sono oggi, e che avevano il compito di allevare nuovi impiegati e quadri
amministrativi.
Tanti di coloro che si
appellano alla Costituzione con l’intenzione di difendere la scuola pubblica,
che realmente è statal-monopolista, non sanno che si stanno appellando al
governo Mussolini che istituì il valore legale del diploma, che è l’unica cosa
che è rimasta in piedi dopo la fine della scuola di Gentile e l’avvio della
scuola di massa che proprio il valore legale indirizza e governa.
Quindi, per tener fede al
titolo del convegno – Libera Scuola in libero Stato – non c’è altro da
fare che sostenere l’abolizione del valore legale del diploma che, del resto,
la realtà ha già svalutato. Purtroppo, in Italia nessuno chiede l’abolizione
del valore legale del diploma. Non la chiedono i cattolici perché le loro scuole,
da Berlinguer in poi, sono paritarie e fanno parte del sistema statale al quale
chiedono giustamente finanziamenti. Non la chiedono gli ex comunisti perché
essendosi impossessati della scuola non ne hanno, secondo loro, interesse. Non
la chiedono neanche i liberali che tendono, sbagliando, a considerare il
rapporto scuola/stato solo sotto l’aspetto fiscale (mentre da Einaudi a
Valitutti c’era la consapevolezza della necessità di togliere dalla scuola il
veleno dei titoli di studio legali: si veda La libertà della scuola in
cui ho raccolto gli scritti dei due grandi liberali).
Concludo. Cosa significa
in concreto abolire il valore legale del diploma? In sintesi alcuni punti: 1)
che il valore si sposta dalla carta alla cultura e alla necessità
dell’apprendimento/insegnamento; 2) che gli esami in uscita sono sostituiti
dagli esami in entrata; 3) che lo Stato ritorna a fare lo Stato istituendo
severi esami extra-scolastici per il reclutamento degli impiegati di cui ha
bisogno; 4) che chiunque, con o senza scuola, può partecipare agli esami perché
la sua preparazione sarà giudicata in base alla preparazione e non in base a
titoli, certificati, scartoffie, crediti.
Si farà? Mai. Infatti,
perché si possa giungere a una tale riforma è necessario debellare la mente statalista
della maggioranza degli Italiani che per comodità e alibi fingono di credere
nei fantasmi.