di Giancristiano Desiderio
33, 17, 10. Terno secco sulla ruota di Bari? No. E’ il
treno dei desideri che all’incontrario va del M5S. Due anni fa, alle elezioni
politiche, raccolse il 33 per cento dei consensi. Un anno dopo, con il voto
europeo, scese drasticamente al 17 per cento. E oggi, con le regionali, i
sondaggi danno i grillini intorno al 10 per cento: un punto sopra o un punto
sotto. Tra un anno, continuando con questa corsa verso il niente, il Movimento
di Casaleggio (padre) e di Grillo (Beppe) potrebbe tranquillamente estinguersi.
Il destino è, ormai, segnato?
Tutte le rivoluzioni iniziano per strada e finiscono a
tavola, dice uno dei sarcastici ma descrittivi aforismi di Longanesi. Il M5S
non fa eccezione. Tutt’altro, conferma in pieno la regola. I grillini, da Luigi
Di Maio a scendere – ammesso e non concesso che la frase sia sensata e che la
scala continui a scendere dopo Gigi – non avevano né arte né parte. Hanno
dimostrato di imparare alla grande l’arte di arrangiarsi, tanto che in meno di
un anno la “parte” è passata da destra a sinistra e le parti recitate in
commedia sono innumerevoli. Che cosa hanno fatto realmente i grillini in
Parlamento e al governo si sa con certezza documentata: debiti. Che cosa hanno
portato in politica anche: il risentimento. Quel 33 per cento del voto del 2018
è la più grande ondata di rancore che mai si sia manifestata in Parlamento,
superiore anche al consenso del Pci di una volta che era animato sì da invidia
sociale, secondo la regola aurea della stessa lotta di classe teorizzata da
Marx, ma seguiva un realismo politico che, al di là dell’idealismo strumentale,
è sempre stato il vero ubi consistam del comunismo.
Il M5S, invece, è iracondo, rabbioso, rancoroso,
inquisitorio, manicheo, vittimista e implacabile nella sua ricerca di creare e
cercare il colpevole di turno. Il grillismo è la più indemoniata incarnazione
della feroce e ingiusta logica del capro espiatorio che mai ci sia stata. La
sinistra ha visto in questo risentimento elevato a movimento d’opinione e di
politica – perché, lo si voglia o no, il sentimento umano più diffuso è il
risentimento – una sua costola, come già avvenne con la Lega di Umberto Bossi
secondo l’interessata visione di Massimo D’Alema. Ma, al di là del fatto che la
sinistra vede proprie costole in ogni movimento di protesta montante sul quale
vuole mettere subito il cappello e il cappotto, più di qualcosa di vero c’è
nelle relazioni pericolose tra sinistra e grillismo. Si potrebbe dire, senza
essere granché lontani dalla verità, che il grillismo è l’invidia sociale
scappata di mano alla sinistra che si è rivoltata contro la stessa sinistra.
Ricordate? “E allora il Pd?”. Proprio il Pd è stato per lungo tempo il vero
nemico dei grillini. Di più, molto di più, ad esempio, di Silvio Berlusconi e
perfino di Mario Monti. Ma la cosa non è né singolare né curiosa. E’ sempre
stato così: parenti serpenti. Il grillismo agitando a più non posso il
giustizialismo ha messo nel mirino anche quel Pd che, nella sua evoluzione
storica: Pci-Pds-Ds, è stato il teorico, l’attuatore e il beneficiario del
giustizialismo.
Dunque, era già scritto nelle stelle che prima o poi
ci sarebbe stato un incontro tra la sinistra e i grillini. Non era in
discussione l’incontro, ma solo il modo. Hanno scelto il peggiore.
Tuttavia, non si governa né con il rancore, né con il
giustizialismo. I due anni dei governi Conte 1 e Conte 2 stanno lì a
dimostrarlo, se ce ne fosse bisogno. Portare il risentimento al governo
equivale a essere populisti senza governo, ammesso e non concesso che sia
possibile essere populisti di governo (forse, qualche rarissima eccezione è
esistita). Lo stesso trasformismo dell’avvocato del popolo, che prima è il capo
del governo con Salvini al Viminale e poi è capo del governo con Salvini sotto
processo, è solo indice della spregiudicatezza personale del professor Conte,
mentre la vera qualità politica di tutta la storia sta nell’infantilismo
istituzionale del Pd e nel suo realismo politico tarato sull’occupazione
governativa piuttosto che sulla “ragion di Stato”. Cosa resta della rivoluzione
del M5S? La scatoletta di tonno. Un feroce sentimento anti-parlamentare ed
extra-parlamentare che è storicamente la radice del peggio degli Italiani.
tratto da nicolaporro.it