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Nord - Sud e i residui fiscali sbagliati

giancristiano desiderio


di Luigi Ruscello

Uno dei motivi, se non il principale, che ha spinto e che spingono le regioni del Nord a chiedere l'applicazione dell'art. 116, comma 3, della Costituzione è certamente costituito dai “residui fiscali”, cioè la differenza tra imposte pagate e fondi ricevuti dallo Stato.

Ebbene, il primo punto da chiarire è che la spesa regionalizzata, in base alla quale si calcolano, appunto, i residui fiscali regionali, non rappresenta la totalità delle spese statali, ma, secondo gli ultimi aggiornamenti presenti sulla Banca Dati Amministrazioni Pubbliche, solo il 41,37 per cento. Quando poi si consideri il periodo che va dal 2002 al 2016, si ottiene che la media è pari al 47,28 e, se ancora si considera l'ultimo quinquennio, si ottiene un valore del 44,43 per cento. Ciò significa che i residui sono sempre meno validi in quanto calcolati su valori sempre minori; mentre, come è fin troppo noto, la spesa pubblica e, in particolare il debito, è crescente.

È certamente vero che la matematica non è un'opinione, ma bisogna vedere come è applicata. Per il calcolo dei residui, infatti, il metodo non è affatto univoco, per cui si ottengono risultati diversi a seconda dei criteri posti a base delle elaborazioni. Ed infatti non c'è uno studio che presenti dati uguali ad un altro.

Due sono i casi più eclatanti. Il primo è costituito dall'Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio tenuta il 22 novembre 2017 nella V Commissione della Camera dei deputati in merito alla distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali. Ebbene, dal confronto dei dati elaborati dall’UPB con quelli della Banca d’Italia, è possibile evincere notevoli differenze: il debito di tutte le Regioni meridionali è di molto inferiore a quello calcolato dalla Banca d'Italia; mentre, solo per la Valle d'Aosta, il Veneto e la Toscana si registra un maggior credito. Ma i risultati più clamorosi sono quelli di uno studio condotto nel 2015 (C. Petraglia – D. Scalera, lavoce.info), dal quale emerge che il Sud, nel suo complesso, riceve quasi l'11 per cento in meno di quanto il criterio utilizzato implicherebbe.

Ma le osservazioni non si fermano qui, perché, tra l’altro, si dovrebbe tener conto anche dei rimborsi per sorta capitale del debito pubblico in titoli e del pagamento degli interessi sugli stessi. Al riguardo, è da osservare che la quota corrisposta a soggetti del Mezzogiorno, nella media del periodo 2005/2012, è risultata pari a circa il 33 per cento (Svimez) per cui, considerato che nel triennio 2015/2017 la media degli interessi pagati sul debito è risultata pari a 66,7 miliardi di euro, di cui 42 a soggetti italiani, al Nord si dovrebbe addebitare una cifra di circa 28 miliardi, che, ovviamente, andrebbero a ridurre drasticamente il presunto credito.

È ancora da aggiungere che, tra le entrate, bisognerebbe tener conto anche del domicilio fiscale delle imprese operanti al Sud, in quanto, se esso fosse ubicato nelle regioni del Nord, le entrate dello Stato figurerebbero in esse e non al Sud. Solo per citare una delle opere che viene indicata come foriera di sviluppo per il Mezzogiorno, cioè la linea ferroviaria ad alta capacità Napoli-Bari (spacciata spesso come alta velocità), è da osservare che gli ultimi tre lotti, per un importo di circa 2 miliardi, se li sono aggiudicati imprese che non hanno la sede al Sud. Cosicché il Mezzogiorno figurerà come luogo di “spesa”; mentre, il Centro-Nord come “pagatore” di imposte, amplificando vieppiù il fantomatico «residuo fiscale».

A tal proposito è bene chiarire che Buchanan, cioè il primo economista che ha trattato l'argomento, nell’elaborare la sua tesi, precisò che la struttura fiscale è equa se il residuo fiscale di individui con una posizione simile è equivalente. E la posizione dei meridionali può essere definita simile a quella del Centro-Nord?



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