di Antonio Medici
Ero bambino quando mia nonna,
qualche giorno prima di andare a Caserta a far visita alla sorella, correva
ansiosa da Sassano, una pasticceria
di via Rummo che ora non c’è più, a prenotare un chilo di “raffaiuoli”,
raccomandando che fossero preparati il tal giorno, quello esatto prestabilito
per la visita, affinché fossero freschissimi. I raffaiuoli erano un sogno proibito. Il vassoio enorme, avvolto da
una carta bianca, zuccherosa, appena lucida, con la scritta blu “Sassano” e un
tocco di rosso, era off limits;
potevo giusto sperare che alcuno dei dolci sfuggisse all’incarto perché il
vassoio non lo conteneva.
Il raffaiuolo è un derivato,
è il fratello minore del pizzo panaro,
il vero dolce tipico beneventano del periodo pasquale: un disco di pan di spagna ricoperto di naspro, la glassa di zucchero sciolto con l’acqua che si rapprende
una volta raffreddatasi; talvolta la mistura è arricchita dall’aroma di limone.
Un dolce estremamente
semplice, dunque, eppur di straordinaria ricchezza: una ricchezza fatta di
sensazioni visive e tattili prima che gustative. Il candore omogeneo e liscio
del naspro, appena rallegrato dai “diavulilli”,
gli zuccherini colorati, lascia presagire una dolcezza innocente, naturale, e
una tenerezza che contrasta con l’aspetto visibilmente duro della glassa. E in
effetti, spezzando ed addentando il pizzo panaro si avverte, con piacere, il
contrasto tra la morbidezza estrema del pan di spagna ed il croccare del
naspro. In questa contrapposizione
morbido/croccante risiede la caratteristica più entusiasmante e l’originalità
di questo dolce beneventano il cui Il gusto è gradevolmente ma banalmente
dolce.
Soffre l’aria il pizzo panaro
perché se il pan di spagna si secca è la fine: la durezza del pan di spagna fa
un tutt’uno con quella del naspro, il dolce diventa una pietra friabile,
fastidiosa, il cui sapore scontato finisce per non appagare. Era questo,
evidentemente, il motivo per cui mia nonna, in un’epoca in cui le confezioni
ermetiche non erano diffuse, pretendeva che i raffaiuoli fossero preparati il
giorno esatto in cui dovevano esser donati. Il raffiauolo è un pezzo ovale di pan di spagna, ricoperto di naspro;
in sostanza un pezzo di Pizzo Panaro, senza “diavulilli”.
Gli zuccherini colorati “simboleggiano
la primavera, con i suoi colori, la sua allegria”, mi dicono alla
pasticceria Bianchini, in via Napoli, che, custode di antiche tradizioni, ancora produce il Pizzo Panaro ed anche i
raffaiuoli, dove mi sono intrattenuto a discuterne, avvolto e piacevolmente
sconvolto da irresistibili aromi di anice, zucchero, vaniglia e quant’altro ben
di dio si usa(va) in questi laboratori del piacere che sono le pasticcerie.
Sono rare ormai le pasticcerie dove, entrando, si è investiti dalla tempesta
aromatica spigionata degli ingredienti delle creme e degli impasti; la
diffusione di semilavorati vari, preparati inscatolati e polverine
preconfezionate, le cappe iperefficienti, hanno reso neutre al naso le
pasticcerie moderne, con grave perdita per l’esperienza olfattivo evocativa dei
golosi del terzo millennio.
Ma torniamo al pizzo panaro,
che pare si chiami così perché la forma tonda è quella tipica di una pizza
(pizza dolce, “a pizz e pan e spagn”)
e perché i bambini ed i giovinetti, che la domenica delle palme, recando il
ramoscello d’ulivo ai padrini e alle madrine di battezzo e ai nonni, lo
ricevevano in dono, lo portavano via in un “panaro”,
una cesta. Il dolce era, dunque destinato a piacere anche ai più piccoli, di
qui la sua semplicità.
La
circostanza che il pizzo panaro fosse donato in occasione di una ricorrenza
così importante ne attesta la popolarità e la tradizione, secondo alcuni
risalente addirittura al ‘500. Con il rarefarsi di quelle
espressioni di affetto consistenti nella
visita affettuosa nei giorni delle feste comandate, sostituita da telefonate,
sms e messaggi in rete, si è rarefatto anche il pizzo panaro.
Non riuscirò mai capacitarmi
del perché un dolce così originale e saporito, di gusto facile, di esclusiva
produzione beneventana, e quindi arricchito dal valore dell’esclusività, debba
subire il destino di dolce minore, quasi destinato all’oblio.
Il pizzo panaro ricorda la
portoghese “pastel de nata” o “pastel de belem”: un cestino di pasta
sfoglia ripieno di dolce crema. Si riproduce nella delizia lusitana il gusto
banalmente dolce e la contrapposizione morbido/croccante. Le vetrine delle
pasticcerie e dei panifici di Lisbona ne sono stracolme, se ne parla nelle
guide, il pizzo panaro, sommariamente citato in alcuni testi, lo devi andare
scovare nella pasticceria che conserva le ricette
dalla tradizione.
Pizzo Panaro e Raffaiuoli si
possono acquistare presso:
Fabbriche
Riunite Torrone Benevento
Benevento -
Viale Principe di Napoli, 123
0824 21624
Russo
pasticceria
Benevento -
Via Gaetano Rummo, 17
0824 24472
Pasticceria
Bianchini Guido e figli
Benevento –
Via Napoli, 135
0824 361019