di Giancristiano Desiderio
Nel suo ultimo libro Antonio Polito compie una confessione, se non proprio una conversione, e attraverso un itinerario che potremmo definire persino teologico-politico parla di morte e di amore, con san Paolo vede nell’etica cristiana la vita del bene e della libertà e di sé arriva a dire di aver cambiato idea e di essere ormai un conservatore. Ce n’è abbastanza per dire quanto dice lui stesso: “Sento già l’obiezione dei miei lettori: da ragazzo rivoluzionario, da vecchio reazionario”. Può darsi, ma non saremo noi a muovergli questa critica che avrebbe solo l’effetto di sviare il discorso. Da cosa? Dalla resurrezione. Addirittura? Sì. Vediamo.
Il titolo del libro è Prove tecniche di resurrezione (Marsilio). Naturalmente, Polito parla di resurrezione in questa vita e non dopo la morte, come se fosse una “preghiera laica” e, tuttavia, sia la parola sia il concetto sono presi di peso dalla religione e, del resto, lo stesso credo religioso considera la resurrezione come un continuo risorgere dell’uomo su stesso, dalle sue cadute, dalle sue debolezze. Polito pensa al risorgimento quando si imbatte in un accadimento che riguarda la maggioranza dei mortali: l’invecchiamento. Come reagire? Lo spirito del tempo comanda di ringiovanire. Ma qui ci si incammina o per la via dei miracoli o per le scale del ridicolo che, però, Polito scarta per affrontare l’ultimo quarto della vita come merita: con una nuova vita in cui prendendo sul serio l’incipiente vecchiaia venga “restituito agli anziani il diritto di non essere giovani”.