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San Felicori ora pro nobis

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 23 Febbraio 2019

di Giancristiano Desiderio

San Felicori ora pro nobis.

L’idea, riconosciuta in Europa, è proprio bella: il Sannio con i suoi cinque comuni di punta nella coltivazione dell’uva e nella produzione dei vini  - Guardia Sanframondi, Solopaca, Castelvenere, Torrecuso, Sant’Agata dei Goti -  come una sola e bella Città del vino. Il Sannio come un solo grande vigneto dalle valli e colline del Matese alle valli e colline del Taburno. Il Sannio come un esercito antico unito come un unico soldato schierato in battaglia carico di sacrificio e di gloria. Idea suggestiva fondata su una realtà ormai matura e giovane di tre decenni che ha davvero modificato il paesaggio collinare e antropico del Beneventano che nel vino, dalla fine almeno dell’Ottocento grazie ai nostri fratelli Piemontesi, ha avuto una tradizione di botti e di vini. Forse, è più un’idea mia che una realtà della Terra, eppur l’ho scritto con entusiasmo e ho dato atto ai sindaci guidati da Floriano Panza di aver avuto una felicissima intuizione e di aver così creato un’ottima possibilità per fare tutti insieme, imprese vitivinicole e amministratori, un passo avanti nel mondo contemporaneo e un salto di qualità. Purtroppo, la possibilità è stata già quasi mezza sprecata.

San Felicori ora pro nobis.

Senza girare in tondo: che cosa andava fatto che non è stato fatto? Le cinque stelle dei sindaci avrebbero dovuto individuare un manager o un’agenzia di strategia del settore che in poco tempo avrebbero a loro volta dovuto redigere un programma di massima di iniziative e attività da svolgersi durante il 2019   - “un anno bellissimo”, secondo la falsa retorica di un governo inutilmente bugiardo -  per far incontrare la Città del vino e del Sannio con il più vasto mondo fatto di mercato, clienti, consumatori, curiosi e puri e nudi intenditori e ricercatori di cose buone. E’ fin troppo evidente, infatti, che questa funzione direttiva e allo stesso tempo operativa non può essere svolta dalle cinque stelle dei sindaci e, tutto sommato, neanche da altri enti come la Camera di commercio, il Consorzio o le stesse e tante imprese e cantine private e sociali. Alla fine, dopo errori su errori, finalmente si è imboccata la strada giusta ed è stato chiesto aiuto a Mauro Felicori. Avere la capacità di correggersi è un pregio.

San Felicori ora pro nobis.

I fatti dimostrano che la Città del vino andando incontro al 2019 in ordine sparso è andata fuoristrada trasformandosi velocemente da Grande Occasione in classica Sagra da Strapaese: prima l’indecisione sul luogo e la città, Napoli o Benevento, dove tagliare il nastro dell’inaugurazione, poi i rapporti tra le cinque stelle comunali e il presidente della Camera di commercio, Antonio Campese, all’insegna degli equivoci, dei sottintesi e del chi sei tu e chi sono io, quindi l’archiviazione o lo scarto del marchio fatto da Paladino  - come racconta qui a fianco Antonio Medici -  che aveva dato alla Città del vino un logo con il suo stile riconoscibile subito in tutto il mondo. Insomma, come avevo già scritto quando tutto ancora non si era verificato ma tutto andava verso la cronaca di un disastro annunciato  - La Città del vino non è Napoli, 22 gennaio, Sanniopress -   la disorganizzazione è stata così precisa e impeccabile che alla fine il disastro organizzato è arrivato. Ora Mauro Felicori dovrà correre ai ripari. Non ha molto tempo davanti a sé.

San Felicori ora pro nobis.

Tuttavia, la disorganizzazione non spiega tutto. Obiettivi, scopi, fini, risultati si possono raggiungere anche nella disorganizzazione. Anzi, non è da scartare la possibilità che una anarchia creativa possa riuscire là dove una razionale programmazione può fallire. Ma qui in discussione sono proprio gli obiettivi: se gli amministratori e gli imprenditori volessero realmente una valorizzazione dell’uva ossia un aumento del suo prezzo e se volessero effettivamente fare un salto di qualità ideando e offrendo un prodotto più raffinato con la creazione di un Aglianico superiore e una Falanghina prelibata avrebbero perseguito questi scopi con i mezzi più disparati eppur idonei. Ma siccome non hanno individuato i mezzi per raggiungere i fini, allora, si dovrà sorridere e capire che quegli obiettivi non si vogliono ottenere o non si perseguono davvero fino in fondo. Come se il vero mercato del vino sannita fosse altrove.

San Felicori ora pro nobis.

Il Sannio è attualmente l’area agricola della Campania con la maggior concentrazione di uva e di vino. E’ la cantina della Campania, come si usa dire con una formula. Questa grande produzione ha un suo punto di forza: la quantità. Il punto di forza è anche il punto debole del Sannio vinicolo: il suo limite. Ma dentro questo limite, evidentemente, le imprese  - non tutte, va da sé -  ci stanno bene e preferiscono farsi concorrenza tra loro con bottiglie a buon mercato piuttosto che entrare in concorrenza con vini più costosi e marchi storici. E’ come se il Sannio avesse timore di crescere per paura del vasto mondo e preferisse restare nel suo più rassicurante piccolo mondo antico e da qui portare le sue bottiglie, come pur avviene, in un mondo che ha scoperto un vino da tavola a basso costo. E’ in questa mancanza di obiettivi comuni e nello scollamento tra politica e società, che s’incontrano solo sul piano dell’amicizia e della clientela, che il Sannio rischia di perdere la sua partita ancor prima di scendere in campo e giocare.

E allora, San Felicori ora pro nobis e che il buon dio te la mandi buona pure a te.






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