di Luigi Ruscello
Il coronavirus è arrivato proprio nel momento in cui
il sistema economico italiano non ne aveva bisogno. I dati del sistema Italia,
infatti, non sono dei migliori.
Anche
prima della diffusione di Covid-19, tuttavia, la crescita dell'economia
italiana era all'ultimo posto nel confronto UE, come si rileva dai dati diffusi
dalla Commissione europea, per l’anno 2019. Secondo tali dati, il
prodotto interno lordo (PIL) italiano è cresciuto solo dello 0,1 per cento. Le previsioni inserite nell’ultima legge
di bilancio, quindi, se già non erano entusiasmanti lo saranno ancora di meno.
Il
virus “corona” sta colpendo in maggior misura il nord, cioè la parte
economicamente più forte del Paese. La regione Lombardia e il Veneto generano
collettivamente circa un terzo della produzione economica italiana e la metà
dei proventi delle nostre esportazioni.
A questo bisogna aggiungere un ulteriore elemento
negativo, cioè che nei prossimi due anni bisognerà recuperare ben 45 miliardi per sterilizzare gli aumenti dell’Iva
e delle accise.
Purtroppo, le negatività da considerare non sono finite, in quanto
bisogna tener conto delle regole europee ai fini del deficit, aggravate ancor
più dal fiscal compact.
Una cosa che non viene
mai spiegata dai mezzi di comunicazione è che qualsiasi cifra sia appostata nel
bilancio statale non ha nessuna rilevanza finché non viene effettivamente
erogata. Perché è solo allora che viene contabilizzata nel deficit. Insomma,
dire che i fondi sono stati stanziati non significa nulla.
Questo è uno dei principali motivi per i quali non vengono
pagate le imprese che hanno crediti verso le pubbliche amministrazioni. E anche
la compensazione non permette di ovviare poiché con essa vi sarebbe una riduzione
delle entrate. È dal 1993, Ministro del Tesoro Ciampi, che ci portiamo dietro
questo fardello. Per esperienza personale, infatti, mi sento di affermare che,
per rientrare nei parametri di Maastricht, furono allentati i pagamenti da
parte dello Stato, proprio per non incidere sul deficit.
Ma il coronavirus potrà portare al collasso l’Italia anche per
un altro motivo. Nel 2018 sono state sottoscritte norme in base alle quali sono
state regolamentate le coperture dei cosiddetti “non performing loans” (NPL),
che altro non sono se non le classiche sofferenze bancarie.
Il Parlamento europeo, che il 14 marzo 2019 ha approvato
definitivamente le norme, ha specificato che per “crediti
deteriorati” s’intendono tutti i prestiti scaduti da oltre novanta giorni o
difficilmente rimborsabili.
È vero che le
nuove norme sulle coperture sono applicabili solamente ai
prestiti erogati dopo l’entrata in vigore delle norme stesse. Ma i
termini previsti dalla normativa, già troppo stringenti al momento dell’approvazione,
diventeranno ora un vero cappio al collo del sistema bancario italiano, così da
paventare una marea di crisi.
I livelli di copertura, infatti, variano
a seconda della tipologia dei crediti deteriorati, ovvero se sono garantiti o
non garantiti. Inoltre, per quelli garantiti verranno prese in considerazione
anche la tipologia di garanzia utilizzata (ad esempio gli immobili).
Nello specifico, i crediti non garantiti
dovranno essere svalutati completamente tre anni dopo essere stati classificati
come deteriorati.
I crediti garantiti invece potranno
essere svalutati in un arco temporale che va dai nove ai sette anni, a partire
dal terzo anno, dal momento in cui sono stati classificati deteriorati.
Alla luce
delle crisi aziendali prossime venture, in seguito al calo di attività
provocato dal coronavirus, farebbe bene il governo a chiedere la loro
sospensione.