di Alessandro Liverini
Le
tensioni sociali che agitano le periferie romane in questi giorni riaccendono
nella mia mente il bisogno di dare risposta ad un quesito che mi ero posto
qualche settimana fa e che non avevo più risolto. Da dove provengono, quando e
perché sono giunte a Telese le familje
romanès, che tutti noi da sempre conosciamo - puramente e semplicemente -
come zingari?
Questo
interrogativo, in effetti, aveva messo radici ancor prima nella mia mente.
Qualche settimana fa un mio carissimo amico mi ha raccontato di aver
rincontrato recentemente una nostra comune compagna di classe delle elementari
- una zingarella alla quale la
maestra di matematica ogni santo giorno ripeteva,
come un mantra, che avrebbe dovuto
studiare - nelle vesti di una professionista: una infermiera brava e accorta.
Mentre
provo a dare una risposta, penso anche al mio amico Michele, volato qualche
anno fa in America. E dove altro avrebbe potuto trovare la libertà che cercava
e che meritava? Ricordo la sua irrituale magrezza. Ricordo che abitava in una
baracca posta su una stretta lingua di terra tra il Grassano ed il suo
collettore destro. Ricordo quando a ricreazione estraeva dallo zaino scucito un
grosso panino al prosciutto, che non esitava a condividere con noi bambini normali. Ricordo quando ci abbracciava
sorridente.
La
risposta al problema, allora, non può che stare nel volo transoceanico di
Michele. I rom il viaggio ce l’hanno
nel sangue. Il loro augurio più bello è lacio
drom, buon viaggio!
La
popolazione romanì (zingari è solo
una deformazione diacronica che pure ha una storia affascinante e che,
peraltro, trova conferma in alcuni documenti medievali riguardanti il nostro
territorio, ove si fa riferimento a giptii
o gipzi; da qui il diffuso
cognome Gizzi) partì per una
millenaria migrazione verso occidente nel corso del medioevo. Attraverso la
Persia, il flusso delle genti raggiunse la Grecia e poi i Balcani. Da qui si
divise. Giunse, via mare, sulle coste del sud Italia intorno al XV secolo e,
via terra, nell’Europa continentale. Nel 1488 -
nel corso dei lavori per la costruzione e il rifacimento di un’ala del
castello di Manfredonia - una delle grandi opere volute dalla Corona aragonese
per rafforzare le difese e il controllo delle coste del Regno - il nome di un
gruppo di zingari venne registrato
nel libro dei conti del credenziere incaricato dei lavori della fabbrica. Ed è
proprio dal nord della Puglia che alcune famiglie di rom partirono negli anni venti del XX secolo per mettere radici a
Telese.
Il primo fatto che testimonia la presenza a Telese di una famiglia romanì avviene nel mese di marzo del
1929. È la nascita di un bambino (un ćhavo
che poi diventerà un phuro, un
vecchio patriarca). Il padre e lo zio di questo bambino vennero dalla Puglia,
dalla provincia di Foggia, dalle terre a ridosso dei colli fortorini,
segnatamente da Alberona e Castelluccio Valmaggiore. Seguirono il corso dei
fiumi Miscano, Ufita e Calore. Non a caso alcuni romanì vissuti poi a Telese avevano fatto tappa - sempre lungo
l’asse del Calore - ad Apice e a Ponte.
L’arrivo degli zingari in valle telesina è da ritenere, dunque, frutto di un
movimento spontaneo e non coatto. L’ultimo atto di una migrazione millenaria.
L’arrivo a Telese fu dunque un lacio drom
e non una deportazione. Non fu, dunque, l’effetto della circolare 11
settembre 1940 - firmata dall’allora capo della polizia Arturo Bocchini
(originario di San Giorgio Del Sannio) - in forza della quale gli zingari italiani furono rastrellati e
confinati in luoghi isolati o in veri e propri campi di concentramento (tra i
più vicini, ricordo Vinchiaturo e Agnone).
Anche Telese in quegli anni - per la
sua posizione geografica e per le sue caratteristiche urbane - fu identificato
come luogo di confino per gli oppositori politici. Nel mese di febbraio del
1943 a Telese fu confinato l’avvocato potentino Gerardo Marchese, arrestato
«per diffusione di notizie pessimistiche sull'andamento della guerra e perché
sospettato di ascoltare radiostazioni estere o clandestine». Fuggì da Telese il
26 aprile 1943 e raggiunse la Svizzera. Ma Telese non fu luogo di confino degli
zingari: essi vi arrivarono da soli, in piena libertà, sicuramente attratti dalla
scarsa densità abitativa, dalla presenza di molti corsi d’acqua e della
centralità geografica e ciò avvenne ben prima che il regime fascista mostrasse
il suo volto più feroce. A Telese le prime famiglie di zingari si insediarono a ridosso del piccolo villaggio allora
esistente: piazza Mercato, via Roma, le potechelle. Si integrarono abbastanza bene. Dopo la seconda guerra
mondiale, ai primi nuclei familiari se ne aggiunsero di nuovi, provenienti sia
dall’area foggiana, sia dall’area abruzzese, sia dall’area casertana.
Sui
vecchi registri anagrafici è ancora oggi possibile leggere la parola zingaro alla voce professione. E forse un po’ quei vecchi registri hanno ragione, se
è vero che zingaro significa intoccabile, ma anche viaggiatore e uomo
libero.