Pulcinella, pizze e pistole - giancristiano desiderio

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Pulcinella, pizze e pistole

l'ingordo
Critica del giudizio gastronomico

 
Pulcinella, pizze e pistole
di Antonio Medici

Per la prima volta, almeno in questa rubrica, la recensione ha per oggetto un paio di pizze prima e piuttosto che una pizzeria, di cui pur dirò. È una sovversione alle regole, ma è pur giusto partire dalle pietanze per far risaltare chi le propone.

Un cordiale cameriere serve al tavolo, spaccata in quattro su un piatto di foggia marmorea, una pizza che tutto sembra fuor che una montanara. Se la montanara è un grumo bruno di pasta fritta, spesso del peso del piombo, condita con un cucchiaio di sugo, una manciata di parmigiano e una foglia di basilico, quella che ci si para innanzi è un disco piano e spesso, ricoperto di pomodoro, mozzarella, formaggio e basilico. Il gentile maggiordomo in livrea marroncina declama a memoria la filastrocca: questa montanara è cotta al forno e poi fritta, il fior di latte è di pezzata rossa (la mitica mucca che dà il miglior latte da formaggio, quelle delle pubblicità della Milka, perché più ricco di grassi saporiti).

Da quando ho cenato con Roberta Schira, assistendo ai rimbrotti precisi e ineccepibili allo chef stellato, non ho più il coraggio di parlare con cuochi, camerieri e pizzaioli, ove lo avessi mai avuto. Il mio reclamo è il mutismo rimuginante. Nel caso in specie resto muto dopo la filastrocca, prefigurando di dover scrivere terribili parole. Sennonché il primo morso a questa montanara insolita restituisce la sensazione di addentare una nuvola di pasta saporita, fritta ma non unta, delizioso supporto di leggerezza aerea al condimento succulento. Si scatena, allora, la loquacità con la mia bella commensale, già disperante per la pessima serata di silenzio che stava prefigurandosi.

A Montesarchio - iniziamo a rivelare i dettagli del luogo - ridente (si dice così, vero?) paesino caudino, dominato dalla bella torre dei D’Avalos a sua volta dominata dal fianco sud del magnifico Taburno, sono giunto con l’auto di lei, avendo scambiato il passaggio con la promessa di tornare a Napoli per la notte. A veder il chiar di luna sul mare, ben inteso, non si pensi a male.
La seconda pizza, delle almeno sette provate in due visite, ad aver conquistato il merito del racconto è la “cheese inside”. Non è in realtà una pizza, piuttosto un rituale sacro votato al dio della pizza ai quattro formaggi che qui sono ben sei e tutti eccezionali: il fior di latte di cui sopra, l’erborinato di pecora, che si integra senza coprire i sapori, la caciotta padulese e quella di capra, che dà un pizzico di fresca acidità, ciò che spesso manca alle pizze col formaggio, il caciocavallo e la lattica affumicata. Il ben di dio, con l’eccezione del fior di latte, è sistemato a crudo sulla pizza dopo la sua cottura.

Il frate officiante serve il piatto sacrificale, declama i formaggi e poi, minaccioso, estrae la pistola. Piomba nuovamente il silenzio ma è solo un attimo, il tempo che l’azione del grilletto sprigioni la fiamma bluastra che fa dei formaggi crudi un unico amalgama dal sapore esplosivo. Si resta ammutoliti, sì, ma per lo stupore esaltato delle papille gustative, per il piacere lascivo che si propaga dalla bocca e scorre nelle vene e in ogni capillare periferico, arrivando a far battere il cuore di emozione impudica.

Giuseppe Bove, si chiama così l’artefice di cotanta impresa. Originario di Maddaloni, figlio d’arte di un noto cuoco, inizia, appena valicati i vent’anni, la sua esperienza autonoma con un ristorante a Santa Maria a Vico. Esperienza immatura, foriera di affanni. Eros e Tiche, amore e caso portano Giuseppe a Montesarchio per la sfida contro le sventure del passato, per il riscatto. Sfida umile, partendo dal gradino più basso della cucina, quella del pizzaiolo, lui che nasce cuoco. Studio, sperimentazione e manicale cura dei dettagli sono le fondamenta su cui poggia la risalita, concretizzatasi nel passaggio dal piccolo locale con pochi tavoli a quello più grande attuale, stretto solo per la folla di chi cerca una buona pizza.

“L’arte del pizzaiolo sta nella gestione della cottura in bocca di forno. Noi controlliamo ciascuna pizza prima che esca dal forno e abbiamo una persona dedicata a gestire solo l’ultima fase della cottura. Se c’è qualche bruciatura, buttiamo la pizza”.
L’accoglienza è fuori dalla frequente brutalità sannita, si concretizza in disponibilità, attenzione, pulizia.
I prezzi, nonostante l’alto pregio delle materie impiegate e della pizza nel complesso, sono contenuti. Ottima birra alla spina, buona selezione di birre artigianali e vini.
Menù, come di triste moda, vastissimo.

Non accetta prenotazioni ma il numero di addetti al forno e alla sala consente un rapido ricambio dei tavoli, le attese, pertanto, non sono epiche e soprattutto sono ben giustificate.
Non amiamo i confronti e le classifiche, ma non esitiamo a porre il Segreto di Pulcinella sul podio delle migliori pizzerie della provincia di Benevento (che sventuratamente sono pochissime).

Il Segreto di Pulcinella
Via Benevento, 36c - Montesarchio



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