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Il Benevé e la quiete delle ambizioni

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 27 Maggio 2019
Tags: campionatoserieabeneventosconfittavigorito

di Antonio Medici

All’ottantacinquesimo minuto, dei novanta regolamentari, un impulso di sincero dolore e rassegnazione all’irrimediabile risultato deve aver prevalso sugli ordini dei capi ultras della curva sud o travolto la loro stessa speme, quella che li aiutava a reggersi in bilico sulla balaustra, a torso nudo sotto una pioggia pungente, trasformando l’incessante tambureggiare d’accompagnamento agli esaltanti cori di incitamento in un cupo lamento monotòno.

Sono passati col sottofondo di quel requiem spontaneo e condiviso anche gli interminabili sette minuti di recupero di Benevento - Cittadella, semifinale di ritorno dei playoff del campionato di serie B 2018/2019.

Quel lamento funebre, angosciante ed espiatorio quanto quelli lucani esplorati dal De Martino, è esploso dall’incredulità dei diecimila spettatori beneventani, collettivizzando il dolore spengendo ogni impulso d’ira e contestazione, risultata isolata nella voce sguaiata di qualche invasato. Quel lamento, al contempo, ha enfatizzato il modesto fracasso di tamburi e salti, delle braccia e voci, vibranti di una gioia imprevista, della quarantina di prodi veneti giunti ai margini del Sabato, più per un atto meccanico di fede che per una speranza che pareva non aver ragione nella logica delle forze in campo e dei risultati già acquisiti.

Il calcio, però, a volte è senza ragione e l’impensabile si fa realtà, addirittura diviene ragionevole.

Ragionevolissima è stata la vittoria del Cittadella, uscito tra gli applausi delle tribune di uno stadio mai ostile agli ospiti. La squadra del piccolo centro veneto ha giocato con ordine dal fischio d’inizio, approfittando (e questo è un merito) dello psicodramma che ha annebbiato le menti e confuso i piedi dei giallorossi e del loro trainer dopo il primo gol subito. Una cosiddetta papera del portiere, un gol inatteso, una saetta che ha bruciato i muscoli e fatto evaporare l’adrenalina.

La partita è finita lì, il Benevento è morto lì. Non per caso dopo pochi secondi sono arrivati un palo e il secondo gol del Cittadella.

L’immaginabile discussione nello spogliatoio, la bevanda corroborante, il cambio delle casacche fradicie d’acqua non sono serviti a nulla. Il Benevento è tornato in campo più confuso di come aveva chiuso i primi quarantacinque minuti e se il risultato finale (0–3) non è stato più pesante, è stato solo per effetto di un fuorigioco millimetrico che ha determinato l’annullamento del quarto gol subito.

Il Benevento partiva da una doppia condizione di vantaggio, piazzamento di classifica e risultato dell’andata, ma è sceso in campo senza la lucidità e l’agonismo corrispondenti alla rilevanza della posta in gioco, né ha trovato trai suoi uomini una leadership capace di assumere la responsabilità di suonare la Carica.

In questo e nell’assenza di un entusiasmo trainante la squadra è apparsa in grande sintonia con la città. Benevento è parsa vivere l’accesso ai playoff e la prospettiva di un ritorno nella massima divisione calcistica nazionale con sufficienza, come se quella doppia promozione di due e tre anni fosse stata sufficientemente appagante, quasi come se fosse un turbamento eccessivo un ulteriore avanzamento. A ben pensarci la quiete delle ambizioni è la cifra sociale e l’imperturbabile lascito della storia.

Non può essere casuale, del resto, che l’imprenditore riuscito nell’impresa di far grande il calcio della città che fu papalina, non sia un beneventano. Oreste Vigorito ha allestito una squadra competitiva sotto ogni punto di vista e il risultato del campionato appena concluso deve comunque essere valutato positivamente. Quarta sul campo, in un campionato difficile, dopo una retrocessione pesante.

Risultato che garantisce un ulteriore anno di ribalta, perché la serie B assicura comunque grande visibilità, un altro anno di calcio di buon livello cui assistere allo stadio. Non è poco e va considerato con rispetto.

Molti abbonati non hanno esercitato la prelazione per assistere alla semifinale col Cittadella, svoltasi in uno stadio che non è stato pieno come avrebbe dovuto essere e come sarebbe stato lecito attendersi. C’è da auspicare non siano stati questi i primi segnali di una sorta di assuefazione e distacco che sfoci a breve in una modesta vendita di abbonamenti per il prossimo campionato.

Abbiamo sempre pensato e scritto che la promozione in serie A non doveva conferire a Vigorito un’aura di santità e incriticabilità, del pari pensiamo che sforzo di chi allestisce formazioni competitive, dà alla città una rinomanza sportiva mai avuta prima e un intrattenimento calcistico di alto decoro vada ripagato con la presenza allo stadio.



Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
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