di Giancristiano Desiderio
Era il 22 febbraio, un mese fa, un secolo fa, quando
il presidente del Consiglio, che di lì a poco avrebbe assunto “pieni poteri”,
disse: “Non trasformeremo l’Italia in un lazzaretto”. Purtroppo, l’Italia è
diventata qualcosa di più triste di un lazzaretto: un paese rintanato in cui è
andata in scena la parodia del sentimento nazionale con balli e canti sui
balconi spazzati via dalla durezza del dramma e dalla marcia funebre dei freddi
carri mortuari senza lacrime di sfogo e conforto. Ancora purtroppo, il peggio
potrebbe essere di là da venire.
La strada sbagliata indicata dalla democrazia
dittatoriale creata da Conte e dalla schiera dei conformisti è la classica “via
della schiavitù”: gli Italiani che, fedeli alla loro religione civile riassunta
dal motto “Franza o Spagna basta che se magna”, hanno messo in due minuti la
vita nelle mani dello Stato non hanno ricevuto nulla in cambio, tanto che lo
Stato/governo con una mano ha tolto loro la libertà e li ha confinati in esilio
a casa loro e con l’altra li ha minacciati e multati, gli ha allungato di due
anni i tempi degli accertamenti dell’Agenzia delle entrate già scaduti e li ha
sottoposti per qualsiasi cosa, perfino per l’acquisto e il reperimento di materiali
e mezzi sanitari necessari ai malati, a Sua Maestà la Burocrazia. Ma quel motto
è disgraziatissimo e dietro l’angolo c’è la fame. Così se questo maledetto e
benedetto Paese, in cui un giornalista di regime chiama
Guido Bertolaso, che si è ammalato per aver fatto più del suo dovere e per aver
servito il proprio Paese, Bertoleso, vuole coltivare ancora un po’ di speranza,
non c’è altro da fare che abbandonare prima possibile la “via della schiavitù”
e affrontare vita e mondo nell’unico modo sempre valido: con il lavoro, l’iniziativa,
l’intraprendenza, la buona volontà. Il tempo degli onesti disonesti è finito.
Il tempo che ci aspetta è tempo da draghi.
Tutto si può riassumere in poche righe. Eccole: nel
tempo che verrà trionferà ancora una volta lo spirito del gregge, in cui a
rischiare devono essere pochi, come medici e infermieri ora, mentre il gregge
deve restare nell’ovile e la libera forza morale deve essere mortificata e
soccombere al cospetto dello Stato/governo che tutto pensa e tutto risolve
oppure c’è bisogno proprio di esaltare la libertà
liberatrice, come la chiamava chi so io, degli uomini e delle donne, delle
famiglie e delle imprese, dei professionisti e di tutti gli uomini di buona
volontà che hanno sempre costruito case chiese stati e nazioni?
Questa seconda
strada, il tempo dei draghi, implica che si abbandoni la “via della schiavitù”,
che se ne vadano non solo gli incompetenti, ma i pauperisti, gli ideologi anti-mercato,
i giustizialisti, gli statalisti la cui prima vittima è proprio lo Stato come
dimostra la stessa crisi sanitaria. Chi è in grado di rimettere in cammino l’Italia
intera non deve essere vessato, tassato, angariato e gli stessi impiegati dello
Stato, in qualunque settore lavorino, sia quello amministrativo sia quello dell’istruzione,
non devono guardare a chi intraprende e produce con gli occhi dell’invidia
sociale bensì con sguardo lungimirante di chi sa che da quel lavoro dipende la
rinascita dell’intero Paese e la stessa esistenza del patto statale.
Può darsi che il buon senso possa finalmente uscire e
non aver paura del sentimento e risentimento del senso comune. Le giornate che
abbiamo vissuto e nelle quali, in verità, siamo ancora immersi fino al collo,
ci raccontano di un mondo capovolto in cui per la troppa paura della stessa
vita si son scambiati la rinuncia e la fuga con l’etica della responsabilità. Invece
di fare appello alle forze morali e allo spirito di sacrificio si è scelta la
strada dell’autoisolamento, dell’autocastrazione, dell’autocensura fino ad
arrivare al punto di privare l’Italia, nel momento del massimo bisogno, dei
suoi uomini migliori che inventano, producono e con il loro stesso lavoro sono
al servizio del Paese nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male. C’è
bisogno non solo di Draghi, sì, ma di draghi, di uomini autorevoli che diano il
buon esempio, che conoscano il valore del rischio creativo più che della
sterile sicurezza. Abbiamo bisogno di uomini e donne che la smettano con le
litanie e la giaculatoria della sicurezza in ogni dove, perché senza libertà
non c’è sicurezza che tenga e perché il luogo più sicuro che c’è sulla terra è
sottoterra: la tomba. Basta con la sindacalizzazione della vita. Basta con la
burocratizzazione dell’anima. Basta con il progressismo regressivo dei compagni
e basta con Salvini e le sue cantilene. Vogliamo respirare. C’è bisogno di aria
pulita, non di mani pulite. Anzi, le mani bisogna sporcarsele perché il mondo è
bello perché è brutto, è vero perché falso, è comodo perché è sangue e merda.
Basta con le anime belle, basta con le stelle che guardano e non sanno fare
nulla fino a condurre il Paese tre metri sottoterra.
Basta con coloro che ti
insegnano come va il mondo: il mondo va sempre per i fatti suoi e tutti coloro
che prevedevano questo e quello non hanno previsto il solito incidente della
storia che cambia la vita a tutti. C’è bisogno di uomini che il mondo
semplicemente lo creino senza sociologie e fumisterie da professori perché
fanno l’unica cosa che hanno sempre fatto gli uomini per tirare avanti la
carretta: adempiono ai doveri che la vita reca loro innanzi e il resto è affare
degli deì.