di Giancristiano Desiderio
Nel mezzo di una crisi sanitaria trasformata in una
crisi politico-istituzionale, il presidente del Consiglio appare in televisione
sul far della sera e dice ai Tele-Italiani che ora, stando reclusi nelle loro
case, avranno modo di riflettere sul loro stile di vita e potranno trarne un
grande insegnamento. Insomma, potranno sentirsi in colpa. Mentre il capo del
governo parla come un cattivo filosofo, il capo della Protezione civile ha già
annunciato ai Tele-Italiani che in giornata ci sono stati quasi 800 morti per
poi aggiungere altri numeri sui contagi (ma si sa, come ammesso dallo stesso
Borrelli, che i dati sono poco attendibili, cioè non veritieri, praticamente falsi).
Sia il presidente del Consiglio sia il capo della Protezione civile – e magari
anche il ministro della Salute, irreperebile – non sanno alla lettera cosa dicono
e se lo sanno è anche peggio. Il loro compito preciso, infatti, non è né la
lezione di vita né la veglia funebre ma la spiegazione dei concreti atti di
governo per fronteggiare la crisi sanitaria riportandola in una situazione di
normalità; illustrare il metodo usato per far calare contagi e morti; chiarire l’efficacia
del protocollo clinico; incentivare in tempi rapidi l’arrivo di mezzi e
strumenti come mascherine, ventilatori, letti. L’Italia è un paese allo sbando
(non solo politicamente). La distopia è servita.
Lo stato di emergenza è stato dichiarato il 31
gennaio. Durerà fino al 31 luglio. Sei mesi. Cosa si è fatto? Prima di tutto il
governo ha perso tempo. Poi ha sottovalutato l’emergenza che esso stesso aveva
dichiarato. Quindi, dopo aver favorito il contagio, è andato nel panico per la
consapevolezza della fragilità del servizio sanitario nazionale e, non avendo
avuto né il coraggio né la lucidità di fare scelte mirate con quarantene
precise, ha deciso di recludere tutti gli Italiani nelle case trasformandoli in
Tele-Italiani che ogni sera ascoltano il bollettino funereo del capo della
Protezione civile che non sa operare per difendere la vita civile in cui i
governatori regionali sembrano i signori rinascimentali degli Stati regionali
dell’Italia del XV secolo, mentre per le strade passano le auto della polizia
locale che con il megafono intimano di non uscire di casa.
Quanto durerà questa
condizione in cui una nazione intera è agli arresti domiciliari – come finalmente
anche qualche professore, sempre loro, inizia a dire, ad esempio Michele Ainis
su Repubblica – non si sa. Però, alcune cose le sappiamo: la liquidità
per pagare le pensioni, fa sapere il presidente Tridico, c’è solo fino a maggio.
Sappiamo anche che chi solleva la questione della libertà viene indicato come
un nemico del popolo. Come se la libertà non fosse carne viva, passione,
scelta, difesa della vita, sacrificio, volontà, ragione ma un ciondolo. Allora,
se non si riesce a capire che vita e libertà sono la stessa cosa, fate una
cosa: mettete da parte i principi e la stessa Costituzione che una volta per i
progressisti al governo era la più bella del mondo e ora è carta straccia e
considerate solo il tempo. Sì, proprio così, il tempo. Ogni uomo altro non è
che tempo. E quando diciamo che il tempo passa diciamo una fesseria perché il
tempo resta e chi passa siamo noi, proprio noi. Dunque, stando fermi nelle
nostre case quanto tempo abbiamo prima che il tempo ci uccida o trasformi la
nostra esistenza in modo così radicale da non riconoscerla più?
Tutti coloro che ritengono che la risposta giusta all’epidemia
sia la chiusura totale di tutto - chiusura totale, non chiusura della Lombardia
- credono di essere i padroni del tempo e della vita. Credono cioè di avere in
mano il tempo e di rendere immune la vita isolandola da sé stessa mentre la
vita non si lascia sospendere ed è sempre mortale, anche quando è chiusa in
casa. La Costituzione – tutte le costituzioni dei paesi occidentali – serve a
neutralizzare il mito della padronanza assoluta della vita con cui un Uomo o un
Partito o uno Stato o una Chiesa o una Scienza si può impossessare delle vite
altrui privandole della libertà per il loro bene. Per ottenere un’illusione
– la vita invulnerabile – si nega un bene assoluto: la vita dignitosa. Proprio
coloro che hanno sempre visto in ogni dove pericoli antidemocratici ora se ne
infischiano della Costituzione e cercano la salvezza nel bagno di casa. Parigi
val bene una messa, ecco qua. E gridano all’untore o al nemico e vogliono la
censura e che tutti stiano zitti e ubbidienti e così il buon senso, come ci
dice don Lisander, anche se c’è se ne sta nascosto per paura del senso comune.
Siamo dentro un delirio di onnipotenza, ossia una
forma di autoinganno, in cui nel tentativo disperato e impossibile di rendere
la vita immune non si fa ciò che è possibile fare e che si sarebbe dovuto fare
rispettando le garanzie costituzionali: fronteggiare l’emergenza con la stessa
libera forza morale della vita per ottenere non l’impossibile sicurezza totale
ma la sicurezza minima della vita civile. E’ una via dolorosa? Certo, ma non è
ingannevole. Mentre la situazione presente è tanto dolorosa quanto ingannevole.
La condizione morale dell’Italia ha toccato l’Abisso.
Il presidente del Consiglio, trasformato in dittatore
romano con l’approvazione di politici, intellettuali, professori, scienziati, giornalisti,
promette sicurezza con la conta dei morti e annuncia che domani uomini e donne
devono cambiare vita. I Tele-Italiani, che invocano il controllo totale e la
sicurezza assoluta, vivono ormai in un paese fuori controllo e massimamente
insicuro. Una situazione descritta alla perfezione da Benjamin Franklin: “Chi è
pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di
temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza”. Non si può far
altro che il proprio dovere e confidare nella propensione degli Italiani
per la commedia usata per coprire la tragedia, mentre il vento gelido di marzo fischia e soffia sulle sciagure umane.