di Giancristiano Desiderio
Quanto tempo ci vuole in Italia per perdere la
libertà? Due minuti. Quanto tempo ci vuole per riavere la libertà? Non si sa,
settimane, mesi, anni. Quanta libertà, ossia vita, è stata ceduta per avere la
sicurezza? Tutta. Quanta libertà, ossia vita, si riavrà chissà quando? Poca,
bisogna prima valutare, vedere, calcolare. Quanta sicurezza si è ottenuta
barattando la libertà? Zero. Da un lato ci sono i contagi e dall’altro i morti,
da un lato c’è l’arresto domiciliare e dall’altro la perdita del lavoro, il
fallimento, la carestia. Come si chiama questo stato d’eccezione nel quale ci
ritroviamo per insipienza collettiva scambiata per sapienza universale? Stato
di polizia sanitaria. Come funziona? Come una perfetta trappola per topi. Noi
siamo i topi. Credevamo di metterci al sicuro e, invece, ci siamo messi in
trappola con le nostre stesse mani.
Perché siamo caduti in questa condizione distopica che
credevamo possibile solo guardando Netflix? Ormai lo sappiamo. Non perché siamo
stati sfortunati e nemmeno perché ci è venuto addosso una invincibile calamità
naturale. No. Ci troviamo in questa situazione perché per precisa stoltezza
amministrativa e sanitaria non abbiamo saputo rispondere, sia sul piano del
governo sia sul piano degli enti locali, ad un particolare problema pratico che
Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia e responsabile del laboratorio che
esegue i test per il Covid-19 all’università di Padova, ha così espresso in un’intervista
a il Giornale (dopo averla più volta spiegata un po’ a tutti coloro che
hanno orecchie per intendere e dopo averla attuata nell’area di Vo’ Euganeo in
Veneto): “Il piano antipandemia era pronto ma non è stato messo in atto a
partire da metà gennaio nonostante ci fossero tutti gli elementi per prevedere che
il coronavirus avrebbe colpito duramente anche il nostro Paese”.
Quando gli uomini si trovano in una sorta di
situazione-limite, una specie di guerra di tutti contro tutti come potrebbe
essere un’epidemia, non trovano di meglio da fare che trasferire tutta la loro
potenza – o vita o libertà o diritto, son tutte le stesse cose – ad un sovrano
che ha il compito, sciolto dalla legge, di riportare pace sociale. Nasce così
lo Stato assoluto che Hobbes chiamava Leviatano. Ad un male estremo c’è un
rimedio estremo. Solo che il rimedio è peggiore del male. La soluzione
assoluta, come la definiva Vladimir Nabokov – quello di Lolita – non esiste.
E’ solo uno spettro della mente. Un fantasma. Come nasce il fantasma? Dalla paura.
E proprio perché si ha paura si firma una delega in bianco al Leviatano. Un
perfetto circolo vizioso. Una perfetta trappola per topi. Che funziona davvero
in modo diabolico e distopico. Basta accendere la televisione o un cellulare e
prendersi a piccole o grandi dosi, come si preferisce, la propria razione di
paura che il regime del terrore manda in onda ventiquattr’ore su ventiquattro
in tempo reale/irreale. Un delitto perfetto che né Alfred Hitchcock né Jean
Baudrillard avrebbero saputo pensare meglio.
Come si esce da questo labirinto? Riprendendo ciò che
è nostro: la libertà, la vita, il lavoro, il dovere. Come diceva Giovanni Paolo
II: “Non abbiate paura”. Ossia non abbiate paura di voi stessi. Non si tratta
di essere temerari e non aver paura di ammalarsi, bensì di esser consapevoli
che da un lato la nostra libertà, la nostra intelligenza, il nostro lavoro, la
nostra forza morale, la nostra vita non-immune non possono essere surrogate o
sostituite da niente e da nessuno e dall’altro che il problema che abbiamo
innanzi non è né nuovo né insolubile. Nella stessa trappola per topi, del
resto, l’epidemia non è bloccata ma, al contrario, continua ad alimentarsi e
nella prima fase si è maggiormente accresciuta perché i positivi al virus non
sono stati né individuati né isolati ma, al contrario, sono stati chiusi in
casa con i sani. Una totale follia che è stata il frutto del panico generalizzato
dal governo che avrebbe avuto il compito di mantenere la calma e la lucidità e,
invece, è andato esso stesso nel pallone e non ha trovato di meglio da fare che
creare uno stato d’eccezione.
Le istituzioni di questo disgraziatissimo Paese –
ossia il governo, la Protezione civile, il ministero della Salute, l’istituto
superiore di sanità – hanno accantonato il modello classico che si usa nel
controllo territoriale delle epidemie: la sorveglianza attiva che con la individuazione
del malato e dei positivi isola con le quarantene il contagio, protegge gli
ospedali e consente al “resto del mondo” di continuare quella vita laboriosa da
cui dipende la creazione continua delle risorse per far fronte alla vita e agli
stessi malati. Ciò che è venuto meno – ormai lo sappiamo – è il controllo
medico del territorio con le Asl e la medicina di base. Impareremo la lezione o
continueremo a burocratizzare e statalizzare stupidamente ogni aspetto della
nostra vita, dal lavoro alla scuola alla sanità? Ci dobbiamo chiedere questo
quando usciremo da questa magnifica trappola per topi nella quale ci siamo
cacciati con le nostre mani.