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Storia della bonifica telesina

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 2 Marzo 2019


di Alessandro Liverini

Il 22 maggio 1612 la “Sacra Congregazione per l'erezione delle chiese e le provviste concistoriali”, su richiesta del vescovo Francesco Leone, ordinò il trasferimento - da Telese a Cerreto - delle funzioni (“officia divina et alias functiones”) della chiesa cattedrale.
 
Fra i motivi di tale traslazione monsignor Leone addusse «lo stato deplorabile della Chiesa Cattedrale, la malignità dell’aere, la desolazione di quella Città rimasta senza popolo e senza abitazioni, e l’esistenza perniciosa delle mofete, e delle acque stagnanti e paludose».
 
In effetti, a seguito del terremoto del 1349 - pur restando a Telese tutte le funzioni ecclesiastiche (nel 1605 i canonici telesini qui si riunirono per eleggere il vicario capitolare) - i vescovi avevano iniziato a dimorare altrove, lontano dalla palude telesina. Il terremoto del 1349 non solo distrusse la “Telesis nova” medievale, costringendo i suoi abitanti a disperdersi per i casali limitrofi, ma modificò la geologia dell’agro telesino dando origine a impaludamenti e mofete.
 
Il chimico Leonardo Di Capua - recatosi a Telese nei primi anni del XVIII secolo per studiare la natura delle mofete - così descrive l’agro telesino nella sua opera “Lezioni intorno alla natura delle mofete” del 1714: «[...] la nuova Telese poco appresso al distruggimento dell’antica [...] fu riedificata; ed ora anche ella ricaduta e rovinata [...]. [...] ha lontano dalla Città forse a cinquanta passi picciol laghetto di figura poco meno che ovata, la cui maggior larghezza, è intorno a trenta passi. Quivi dal fondo continuo surge acqua chiara, e trasparente, ma oltremodo solforata [...]. Di là da detto laghetto a un quarto d’un miglio, ove termina il piano, e incominciano soavemente a sollevarsi le colline infra Oriente, e Tramontana, son tre luoghi l’un l’altro lontano intorno a dieci passi: in ciascuna de’quali spirano dal suolo aliti così sottili, che non si possono in modo alcuno per veduta ravvisare; e sì fieri eglino sono, e violenti, che di botto fan trambasciar gli animali, che vi si mettono, e per lo spazio d’un’ottava parte d’ora [...] vi lasciano infallibilmente la vita».

La piana telesina - cioè lo spazio dove oggi è situato il centro urbano di Telese Terme - era una vera e propria palude. Fino a metà ottocento il paesaggio è spettrale.
 
Ce ne dà conferma il viaggiatore inglese Keppel Richard Craven nel suo “Excursion in the Abruzzi and Northern Provinces of Naples” del 1838 (cfr. Jonathan Esposito, “Due scrittori inglesi a Telese nell’Ottocento” in Annuario ASVT 2016) ove così descrisse il suo soggiorno telesino: «Dopo aver seguito per circa due miglia una brutta strada acquitrinosa [...] mi trovai davanti ad una fila di casupole miserabili, che costituiscono tutte le abitazioni esistenti del paese attuale, situato a circa un miglio dal sito del paese antico. [...]. La chiesa diroccata che una volta era cattedrale [...] mostra varie iscrizioni latine incastonate nelle mura [...]. Non lontano da questo edificio si trova l’unica rovina architettonicamente rimarchevole, che i contadini chiamano castello. È probabilmente un sepolcro e ha la forma di un cono troncato e rivestito con grandi blocchi squadrati di pietre calcaree grigie con una soffitta a volta all’interno. Il luogo dove stanno questi resti e le casupole sopra menzionate è copiosamente inondato da vari rivoli di un ruscello solfureo che sorge da abbondanti sorgenti a breve distanza [...]. Emana un forte e nauseante odore al quale viene attribuita la causa della malaria che pervade l’intera zona. Tuttavia questa malattia è più probabile che sia dovuta alla presenza di una palude, formata da altre sorgenti che trasudano dal terreno proprio alle spalle dell’attuale villaggio in una sorta di bacino, il fondo del quale è più basso rispetto alla posizione delle abitazioni, cosicché una grande quantità di queste acque è in uno stato di costante ristagno e produce un’immensa quantità di giunchi e canne, che nella loro crescita e riproduzione, aggiungono gli effetti negativi delle loro esalazioni pestifere a quelli del laghetto putrido».

Il primo a parlare della necessità di una bonifica della zona fu Pietro Paolo Perugini nella sua opera “Memoria su l’indole ed uso delle acque minerali di Telese” del 1819. Egli parlò espressamente di un “progetto di bonifica”, ma lo fece non nel senso della eliminazione di paludi e malaria, bensì nel senso di rendere meglio fruibile il sito termale. Si legge infatti che: «Cinque sono i punti principali, su i quali debbono rivolgersi le cure del governo. - 1. Impedire che il locale destinato per l’uomo venga coinquinato dalle sozzure degli animali scabbiosi, e dalla macerazione delle canape -- 2. Che una linea di demarcazione insormontabile divida il locale per li bagni degli uomini da quello delle donne -- 3. Che si costruiscano dei camerini per l’uno, e l’altro sesso, ad oggetto di spogliarsi e vestirsi con decenza, e senza esporsi alle ingiurie dell’atmosfera -- 4. Che siavi un luogo destinato per prender l’acqua in bevanda condizionato in modo che possa attingersi con facilità senza imbrattarla -- 5. E che siavi un sito ombreggiato da potervi riposare, ed avere un ricovero in caso d’improvvisa pioggia». Si legge inoltre della necessità di isolare le sorgenti termali dal Monte Pugliano, che è «ricovero ordinario dei malfattori, e che più di una volta han sequestrato, e messo a prezzo la vita delle persone andate a godere di quelle acque».

In effetti, la prima vera bonifica dell’agro telesino fu eseguita a partire dal 1881 «per le insistenze vive degli abitanti, flagellati dalla malaria». È solo con l’unità d’Italia, infatti, che il problema della malaria diventa problema politico. Giustino Fortunato ebbe a scrivere che «non intende nulla della storia e del problema del Mezzogiorno che prescinde da quella vera maledizione che è per l’Italia la malaria. Passa il terremoto, passa la peste - dice il contadino del Mezzogiorno - ma la malaria non passa».
Come ci racconta Giuseppe Talotta nel suo “La bonifica idraulica ed il suo rendimento igienico. Note sulla bonifica telesina” del 1924, sotto la supervisione dell’ing. Guercia, capo del Genio Civile di Benevento, a partire dal 1881, si provvide «allo incanalamento delle acque meteoriche e delle numerose sorgive. Sono stati frenati gli abusi o disciplinati i sistemi per l’uso delle acque sorgive e provveduto mediante l’apertura di convenienti canali a condurre l’acqua nell’alveo del Seneta ed indi nel fiume Calore. Ove il bonificamento per scolo naturale avrebbe richiesto lavori e spese urgenti si procedette alla colmata artificiale. Con tale sistema furono bonificati il Lago Inferno, alcuni tratti dello alveo del Seneta, i ristagni in contrada Purgatorio, le zone acquitrinose adiacenti alla ferrovia per Napoli, in  contrada Torone, il tutto per una superficie complessiva di 12 ettari. Per assicurare lo scolo di tutto il resto dell’Agro si eseguono lavori di sistemazione e rettifica dei corsi esistenti e apertura di nuovi collettori con opportuna separazione della acque alte e basse. Fu sistemato e rettificato il colatore più importante - il Grassano - e per renderne compatibile il regime industriale a cui era soggetto con le esigenze del bonificamento lo si munì di due contrafossi laterali, che allacciano le acque basse sorgive e meteoriche, di cui erano allagati i terreni limitrofi al fiume e che in esso non potevano scolare per insufficiente altimetria rispetto al pelo idrico artificialmente elevato. Nel collettore di destra furono anche immesse le acque dei torrenti Portelle e Truono lasciando così al Grassano le sole acque sorgive che lo alimentano. Al Truono fu allacciato un nuovo collettore succursale che raccoglie le acque dei terreni bassi a destra del corso principale. Così dicasi per il torrente Seneta. Per il Lago Grande si provvide alla apertura di uno emissario sfociante nel Calore per abbassarne e mantenerne sensibilmente costante il livello idrico».

Tra il 1920 e il 1921, il medico provinciale Giuseppe Talotta eseguì per un biennio lavori di «bonifica tellurica a scopo antilarvale, mediante la petrolizzazione delle acque stagnanti», affermando poi la necessità che nella realizzazione dei canali di scolo delle bonifiche idrauliche ci si dovesse occupare dello smaltimento delle acque di magra, dunque di dare sufficiente velocità al fluire delle acque per evitare il proliferare delle larve di anofele.

Dopo la seconda guerra mondiale, con la istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, fu dato nuovo impulso alla realizzazione della “bonifica integrale” avviata su scala nazionale nel ventennio fascista. Anche Telese fu interessata da queste vere e proprie azioni di trasformazione del territorio. Nel 1954 fu istituito il Consorzio di bonifica della valle telesina e nel 1956 fu approvato e pubblicato il Piano generale di bonifica del comprensorio della Valle Telesina con le direttive fondamentali della trasformazione agraria.
 
Nel 1981 fu deliberata dal Comune di Telese l’ultima importante opera di bonifica dell’agro telesino. Fu disposta l’eliminazione - per interramento - di un canale, il quale dalla sponda sinistra del torrente Grassano - percorrendo l’attuale piazza mercato - sfociava nel torrente Seneta, parallelamente al canale Purgatorio (tutt’oggi esistente) proveniente dalla sorgente Santa Lucia nelle terme ed al canale di drenaggio del laghetto dei Tre Colori (tutt’oggi esistente).
 
Del complesso delle opere di bonifica dell’agro telesino resta oggi una fitta rete di sorgenti e canali, perfettamente integrata nel contesto urbano. Si tratta di capire come farne un elemento essenziale della programmazione urbanistica.




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