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Togliete la filosofia dalle mani dei professori

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 7 Luglio 2019
Tags: filosofiaprofessoriCrocegiocatori

di Giancristiano Desiderio

Si tratterebbe di capire come introdurre l’argomento e l’argomento è saporito e a me caro: la filosofia, ossia il pensiero vivo, non è roba da professori. Non so, davvero non so, come sia possibile concepire la filosofia come un corso accademico. Sarà che siamo fatti un po’ così e fingiamo di credere a chi si dà delle arie ma a furia di fingere di credere alla fine si è iniziato a credere per davvero ai titoli, ai francobolli, agli attestati che non attestano nulla se non l’imbecillità di chi crede che pensiero e verità nascano da quei moderni monasteri che sono le università, vuote del vecchio Dio in cui almeno l’oziante monaco forse almeno credeva.

Intendiamoci. Fare bene il mestiere di insegnante e di professore è cosa buona e nemmeno tanto facile: dare notizie giuste, informazioni esatte, introdurre alla lettura, avere cultura e gusto, essere un punto di riferimento e, soprattutto, essere anche un esempio di buonsenso e di ironia è merce rara e quando s’incontra è bene tenersela stretta. Tuttavia, confondere il mestiere con il pensiero vivo è errore grossolano che quando si compie conduce da una parte i professori ad essere boriosi e a perdere modestia e umiltà che sono proprie del lavoro di chi riconosce il mondo e ciò che in esso effettivamente vale; e dall’altra il resto dell’umanità  - che siamo noi -  a non intendere che la filosofia nasce come la poesia, dal petto dell’uomo, e viene al mondo solo per necessità, per intimo bisogno, per ricerca di luce, per sofferenza attraverso un dramma mentale e morale e non certo come la soluzione di un dilemma scolastico.

Tra scuola e filosofia c’è  - e lo dico sapendo di sfidare un luogo comune molto forte che, però, ha una sua origine corporativista -  un dissidio profondo perché per poter avere filosofia è necessario introdurre nella scuola la vita stessa e l’introduzione della vita o l’introduzione alla vita non sempre è possibile, non sempre è facile, sicuramente non è scontato. Gran parte del lavoro dell’insegnante di filosofia  - qualunque cosa sia questa figura strana -  consiste proprio nel tentativo di introdurre sapendo che quando ci si introduce già si è nel mezzo e bisogna fare lo sforzo di prendere proprio ciò che è intorno nel mezzo, se stesso, e sollevarlo, proprio come si solleva la vita nel tentativo di schiarirla, intenderla, alleggerirla, sopportarla. La lezione di filosofia è un’eterna introduzione, lo si voglia o no.

Il tema dell’insegnamento della filosofia oscilla tra la retorica e il corporativismo. Se la scuola italiana è diventata tutta un grande liceo, allora, la filosofia dovrà essere insegnata anche in quegli indirizzi di studio dai quali era esclusa. C’è chi lo sostiene e anche con buoni argomenti, come, ad esempio, la coltivazione e diffusione dello spirito critico che, però, non nasce per ripetizione pappagallesca ed è della faticosa terra figlio. Se è vero quanto detto prima - che la filosofia nasce solo per intima necessità di luce - , allora, è più vero l’argomento inverso e, quindi, la filosofia non andrebbe proprio insegnata, proprio come a nessuno salta in mente di insegnare la poesia (ma non escludo che qualcuno prima o poi, anche per esigenze occupazionali, istituirà cattedre di poesia, tanto ormai, anche se viviamo in una perenne indignazione collettiva e tutti urlano “vergognati”, nessuno si vergogna più di niente).

Si può arrivare a tanto, all’esclusione della filosofia  - o, come dicono alcuni, alla storia della filosofia, senza sapere che sono la stessa cosa -  dall’insegnamento scolastico e accademico? Non è necessario giungere fino all’esclusione, basta considerare la differenza tra scuola/accademia e pensiero vivo e se fossimo figli di una cultura almeno un po’ liberale o semplicemente meno in malafede prenderemmo atto che il sistema dell’istruzione e della ricerca andrebbe liberato dal veleno del valore legale del diploma e così anche scuola e accademia riuscirebbero ad aprire le finestre e a far entrare un po’ di aria fresca, riuscirebbero ad introdurre un po’ di vita restituendo la scuola alla scuola, la cultura alla cultura, invece di farne una sorta di dependance del ministero. Il professore invece di essere, che lo voglia o no, una sorta di funzionario statale sarebbe la voce della sua libera autorevolezza e tutto e tutti  - lui stesso, gli studenti, le famiglie, il ministero, la società -  se ne avvantaggerebbero.

La filosofia  - che pensata fino in fondo è l’autocoscienza che ci rivela nella nostra condizione storica -  va tolta dalle mani dei professori, coma la guerra è di fatto tolta dalle mani dei generali. Il punto è, stando dove stiamo, in che mani metterla? Povera e nuda com’è, mettetela un po’ dove volete, tanto alla fine ognuno deve fare i conti con se stesso e con la verità che lo sovrasta. Nel mondo contemporaneo la filosofia non conta nulla. Sono tanti i saperi e le tecniche che sono più utili e più potenti della filosofia che, forse, proprio questa sua inutilità e sua impotenza è lasciata nelle mani dei professori. Tanto, quando si deve pensare e si deve decidere, ognuno lo fa senza scuole e senza autorizzazioni, a conferma che il pensiero vivo non è roba da professori.

Un aneddoto. Benedetto Croce scriveva il 12 luglio 1914 a Giovanni Gentile a proposito della carriera accademica del suo amico e gli diceva: “Quando io sarò morto, certamente mi faranno qualche busto o statua, almeno in qualche paesetto in Abruzzo, se non in qualche stradicciuola di Napoli. Ebbene, io spero che allora ci scriveranno sotto in mio elogio: Tolse la filosofia e la letteratura dalle mani dei professori universitari”. E, al contrario di quanto si potrebbe ingenuamente pensare, togliere la filosofia dalle mani dei professori significa riconoscere che è un sapere scomodo, faticoso, autorevole, libero, rischioso, vivo. La figura del filosofo poco, molto poco si confà ad essere accostata a quella del professore, mentre si lascia avvicinare a quella del giocatore che, in fondo, è una delle tante incarnazioni di Eros. Il filosofo partecipa alla vita come il giocatore partecipa al gioco. L’epitaffio di Croce mi ha ispirato il mio: Pensava con i piedi e tolse la filosofia dalle mani dei professori per metterla tra i piedi dei giocatori.



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