di Giancristiano Desiderio
Si tratterebbe di capire come introdurre l’argomento e
l’argomento è saporito e a me caro: la filosofia, ossia il pensiero vivo, non è
roba da professori. Non so, davvero non so, come sia possibile concepire la
filosofia come un corso accademico. Sarà che siamo fatti un po’ così e fingiamo
di credere a chi si dà delle arie ma a furia di fingere di credere alla fine si
è iniziato a credere per davvero ai titoli, ai francobolli, agli attestati che non
attestano nulla se non l’imbecillità di chi crede che pensiero e verità nascano
da quei moderni monasteri che sono le università, vuote del vecchio Dio in cui
almeno l’oziante monaco forse almeno credeva.
Intendiamoci. Fare bene il mestiere di insegnante e di
professore è cosa buona e nemmeno tanto facile: dare notizie giuste,
informazioni esatte, introdurre alla lettura, avere cultura e gusto, essere un
punto di riferimento e, soprattutto, essere anche un esempio di buonsenso e di
ironia è merce rara e quando s’incontra è bene tenersela stretta. Tuttavia,
confondere il mestiere con il pensiero vivo è errore grossolano che quando si
compie conduce da una parte i professori ad essere boriosi e a perdere modestia
e umiltà che sono proprie del lavoro di chi riconosce il mondo e ciò che in
esso effettivamente vale; e dall’altra il resto dell’umanità - che siamo noi - a non intendere che la filosofia nasce come
la poesia, dal petto dell’uomo, e viene al mondo solo per necessità, per intimo
bisogno, per ricerca di luce, per sofferenza attraverso un dramma mentale e
morale e non certo come la soluzione di un dilemma scolastico.
Tra scuola e filosofia c’è - e lo dico sapendo di sfidare un luogo
comune molto forte che, però, ha una sua origine corporativista - un dissidio profondo perché per poter avere filosofia
è necessario introdurre nella scuola la vita stessa e l’introduzione della vita
o l’introduzione alla vita non sempre è possibile, non sempre è facile,
sicuramente non è scontato. Gran parte del lavoro dell’insegnante di
filosofia - qualunque cosa sia questa
figura strana - consiste proprio nel
tentativo di introdurre sapendo che quando ci si introduce già si è nel
mezzo e bisogna fare lo sforzo di prendere proprio ciò che è intorno nel mezzo,
se stesso, e sollevarlo, proprio come si solleva la vita nel tentativo di
schiarirla, intenderla, alleggerirla, sopportarla. La lezione di filosofia è un’eterna
introduzione, lo si voglia o no.
Il tema dell’insegnamento della filosofia oscilla tra
la retorica e il corporativismo. Se la scuola italiana è diventata tutta un
grande liceo, allora, la filosofia dovrà essere insegnata anche in quegli
indirizzi di studio dai quali era esclusa. C’è chi lo sostiene e anche con
buoni argomenti, come, ad esempio, la coltivazione e diffusione dello spirito
critico che, però, non nasce per ripetizione pappagallesca ed è della faticosa
terra figlio. Se è vero quanto detto prima
- che la filosofia nasce solo per intima necessità di luce - , allora, è
più vero l’argomento inverso e, quindi, la filosofia non andrebbe proprio
insegnata, proprio come a nessuno salta in mente di insegnare la poesia (ma non
escludo che qualcuno prima o poi, anche per esigenze occupazionali, istituirà
cattedre di poesia, tanto ormai, anche se viviamo in una perenne indignazione
collettiva e tutti urlano “vergognati”, nessuno si vergogna più di niente).
Si può arrivare a tanto, all’esclusione della
filosofia - o, come dicono alcuni, alla
storia della filosofia, senza sapere che sono la stessa cosa - dall’insegnamento scolastico e accademico? Non
è necessario giungere fino all’esclusione, basta considerare la differenza tra
scuola/accademia e pensiero vivo e se fossimo figli di una cultura almeno un po’
liberale o semplicemente meno in malafede prenderemmo atto che il sistema dell’istruzione
e della ricerca andrebbe liberato dal veleno del valore legale del diploma e
così anche scuola e accademia riuscirebbero ad aprire le finestre e a far
entrare un po’ di aria fresca, riuscirebbero ad introdurre un po’ di vita
restituendo la scuola alla scuola, la cultura alla cultura, invece di farne una
sorta di dependance del ministero. Il professore invece di essere, che lo
voglia o no, una sorta di funzionario statale sarebbe la voce della sua libera
autorevolezza e tutto e tutti - lui
stesso, gli studenti, le famiglie, il ministero, la società - se ne avvantaggerebbero.
La filosofia -
che pensata fino in fondo è l’autocoscienza che ci rivela nella nostra
condizione storica - va tolta dalle mani
dei professori, coma la guerra è di fatto tolta dalle mani dei generali. Il
punto è, stando dove stiamo, in che mani metterla? Povera e nuda com’è,
mettetela un po’ dove volete, tanto alla fine ognuno deve fare i conti con se
stesso e con la verità che lo sovrasta. Nel mondo contemporaneo la filosofia
non conta nulla. Sono tanti i saperi e le tecniche che sono più utili e più
potenti della filosofia che, forse, proprio questa sua inutilità e sua
impotenza è lasciata nelle mani dei professori. Tanto, quando si deve pensare e
si deve decidere, ognuno lo fa senza scuole e senza autorizzazioni, a conferma
che il pensiero vivo non è roba da professori.
Un aneddoto. Benedetto Croce scriveva il 12 luglio
1914 a Giovanni Gentile a proposito della carriera accademica del suo amico e
gli diceva: “Quando io sarò morto, certamente mi faranno qualche busto o
statua, almeno in qualche paesetto in Abruzzo, se non in qualche stradicciuola
di Napoli. Ebbene, io spero che allora ci scriveranno sotto in mio elogio: Tolse
la filosofia e la letteratura dalle mani dei professori universitari”. E,
al contrario di quanto si potrebbe ingenuamente pensare, togliere la filosofia
dalle mani dei professori significa riconoscere che è un sapere scomodo,
faticoso, autorevole, libero, rischioso, vivo. La figura del filosofo poco,
molto poco si confà ad essere accostata a quella del professore, mentre si
lascia avvicinare a quella del giocatore che, in fondo, è una delle tante
incarnazioni di Eros. Il filosofo partecipa alla vita come il giocatore
partecipa al gioco. L’epitaffio di Croce mi ha ispirato il mio: Pensava con i piedi e tolse la
filosofia dalle mani dei professori per metterla tra i piedi dei giocatori.