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Vita, morte e signorilità di Francesco Durante

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 3 Agosto 2019
Tags: FrancescoDurantemorteCorriereDomenicoRea

di Giancristiano Desiderio

La morte improvvisa di Francesco Durante mi ha stordito. Leggevo uno degli splendidi racconti di Domenica Rea tratti da Spaccanapoli, sono svenuto e precipitato nel sonno torbido della controra e quando mi sono ridestato mi ha raggiunto come un fulmine d’agosto l’ingiusta notizia. E’ morto lì dov’era nato, ad Anacapri, stamattina stroncato non so da che, da un’assurdità, da un colpo, da un lampo, dal caso, dall’equilibro fragile della vita umana. Aveva sessantasei anni e un grande futuro dietro le spalle, tanto che definirlo giornalista è riduttivo. Ha fatto un po’ di tutto: il pubblicitario, il traduttore, il dirigente editoriale, il professore di letterature comparate e di questa sua versatilità resteranno senz’altro i due volumi di Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti, la riscoperta dei romanzi di John Fante e la valorizzazione editoriale delle opere di Domenico Rea. Come vedete, tutto torna.

Nel 2008 Francesco Durante, che in quel momento era caporedattore al Corriere del Mezzogiorno, pubblicò uno dei libri più belli e più intelligenti e più vivi su Napoli e la crisi della monnezza, anzi il miglior libro che sia stato scritto su quella vergogna e, come si legge nelle prime righe, sulla “nostra invincibile cialtronaggine”: Scuorno, appunto, vergogna è il titolo. Lo sfoglio con malinconia e mi accorgo che contiene ancora il foglio con gli appunti che presi per presentarlo a Sant’Agata dei Goti insieme con il suo e mio amico Ruggero Guarini. Venne con la moglie e il cagnolino, un simpatico bassotto, e trascorremmo una bella serata fatta di passeggiate santagatesi, viste in Biblioteca Melenzio e cena con ‘nfrennole e Falaghina. Sul libro volle scrivere una bella dedica: “A Giancristiano, lettore di squisita sensibilità e acuminata intelligenza, dal suo amico Francesco”.

Mi trattenni con Francesco in una lunga conversazione nella sua stanza al Corriere dalla quale si vedeva il mare. Non era molto contento della sua condizione e voleva fare altro, ma è un po’ tipico dei giornalisti di pensare di fare altro. Con la differenza, però, che Francesco era proprio in grado di fare altro e di fare più cose con quella sua passionaccia per la cultura e quel dono naturale che aveva nel riconoscere il talento. Di me lo divertiva il fatto che ai suoi occhi ero uno strano incrocio di “locale” e “globale” e che mi divertivo, come a volte ancora cerco di fare, a mettere insieme la cultura locale con la cultura nazionale o con la cultura e basta. Una volta gli dissi: “Scusa Francesco, poi quel mio pezzo non è uscito, magari non andava bene”. Mi rispose secco: “No, questo non devi mai pensarlo. I pezzi vanno benissimo. E’ che qui è un casino e succede di tutto”. Francesco, oltre ad essere una persona perbene  - e questa definizione che sembra non significare nulla, invece, per lui è veritiera -  è stato un maestro di giornalismo e la sua carriera nei giornali, da Nord a Sud, da Il Piccolo a Il Mattino al Corriere, è ricca di aneddoti che lui sapeva raccontare con garbo, ironia e divertimento. Perché il vero tratto che attraversa vita e opera in Francesco Durante è la signorilità. Era per davvero un signore del giornalismo e della cultura.

Ma il nome di Francesco Durante resterà non solo nel giornalismo ma anche nella letteratura. La sua opera di cura per la pubblicazione del Meridiano Mondadori dedicato a Domenico Rea è uno strumento fondamentale per la conoscenza critica dell’opera del grande scrittore napoletano. Francesco volle che a scrivere il saggio introduttivo fosse Ruggero Guarini che soffermandosi sul concetto del “sentimento creaturale della vita” che era proprio di Rea diede il meglio di sé per un autore, e un amico, quale fu Mimì Rea per Ruggero Guarini, che sentiva a “pelle”. Del resto, fu proprio con Francesco che Ruggero Guarini approdò al Corriere del Mezzogiorno con quella sua bella rubrica intitolata prima “Fisimario napoletano” e poi semplicemente “Fisimario” perché Ruggero aveva proprio delle fisime di cui si liberava, forse, scrivendone. Una di queste era quella che si trova all’inizio del capolavoro di Giambattista Basile in cui la vecchia si alza la veste e mostra l’oscenità facendo ridere la principessa triste Zoza. Quella scena viene ripresa da Francesco in Scuorno in modo mirabile raccontando di quanto avvenne sotto i suoi occhi nei vicoli di Spaccanapoli con due ragazzine che si prendevano gioco di un signore fermo in automobile. Alzandosi le gonne gli dissero: “’U zi’, ‘a sapit’ a chest!?”. Magari quel signore divertito era proprio lui.

Ciao Francesco, con affetto e gratitudine.



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