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Armando De Stefano e la vita come pittura

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 17 Marzo 2021
Tags: DeStefanopitturaNapoliSant'AgatadeiGoti

di Giancristiano Desiderio

Armando De Stefano mi esortava a dargli del tu ed a chiamarlo secondo il nome e non con l’appellativo che, secondo me, era giusto riconoscergli: “Maestro”. Così mi sforzavo di chiamarlo Armando ma siccome avvertivo forte in me l’imbarazzo, cercavo di ricorrere a degli espedienti avviando le conversazioni e proseguendole senza far uso di nomi e pronomi. Però, ora che non c’è più mi rendo conto che non solo mi rivolgo a lui – ora – dandogli del tu ma anche prima, quando il pensiero riandava alla sua figura e alla sua arte, mi son sempre rivolto al Maestro De Stefano come ad un amico quale lui voleva essere e quale è stato. Quando ieri mattina ho saputo della sua morte ho scritto d’istinto due righe come per salutarlo e sorridergli per l’ultima volta: “La pittura era la sua vita e la sua vita/pittura non morirà, perché, come ripeteva Keats, la bellezza è una gioia per sempre”.

Non è per nulla un modo di dire. Lui lo diceva così riferendomi di un dialogo con il padre: “Quando mio padre, che lavorava in banca, seppe che volevo dipingere e seguire questa mia vocazione, mi disse che con la pittura non si campa: lui aveva davanti agli occhi certi artisti che andavano in banca con i loro quadri sotto le braccia per impegnarli e avere qualcosa di soldi. Gli dissi: io sono disposto anche a lavare i piatti per campare, ma per vivere ho bisogno di dipingere”. Per campare non ha dovuto fare il lavapiatti e se avesse voluto vendere i suoi dipinti avrebbe fatto soldi a palate. Invece, i suoi quadri li donava, ma non a tutti: li donava solo a chi ne apprezzava la bellezza d’arte e il valore che nel tempo avrebbero sempre più acquistato.

Armando De Stefano ha abitato, per un periodo non breve, a Sant’Agata dei Goti insieme con la compagna Marisa Ciardiello. Prese casa nel centro storico che tanto ammirava e amava e, come accade in questi casi, un po’ fu per caso, un po’ fu per destino, si ritrovò ad abitare in via Perna in quel Palazzo Desiderio, che fu della mia famiglia, e nelle stanze in cui visse tutta la vita zio Renato Desiderio che della difesa della poesia di Sant’Agata dei Goti fece una professione di fede. Non che a Napoli, a San Giuseppe dei Nudi, in quel colosso di Palazzo seicentesco, stesse male ma a Sant’Agata gli piaceva stare perché – diceva – “mi sento più tranquillo e posso lavorare con una certa naturale concentrazione”. Infatti, non solo a San Giuseppe dei Nudi, ma anche a Palazzo Desiderio aveva con sé cavalletti, tele, cornici, libri e lavorava senza sosta, lavorava per riposarsi, lavorava perché “per vivere ho bisogno di dipingere”.

Le opere d’arte figurative hanno una particolarità: o si fanno guardare o ti guardano. Le opere di Armando De Stefano le hanno entrambe: le guardi e le ammiri, ma dopo un po’ ti rendi conto che l’opera di sta scrutando. Quasi sei portato a coprirti perché l’opera ti mette a nudo. Può darsi che questa qualità maturi nella pittura di De Stefano con l’incontro con Bacon ma è solo un passaggio nel suo percorso artistico che era destinato a ricongiungersi alla tradizione italiana ed europea della pittura del Seicento. Tutti i cicli pittorici di De Stefano sono “giocati” sulle tenebre e sulla luce, come i due principi della pittura e della vita.

Armando De Stefano ha lasciato a Sant’Agata dei Goti non poche opere: alcune si possono vedere nella Galleria d’Arte e Biblioteca M. Melenzio della Pro Loco, come L’albero di Dafne e L’albero a Sant’Agata dei Goti, che Claudio Lubrano ha ben custodito; altre pur essendoci non sono, purtroppo, visibili: mi riferisco ai sei dipinti che dovrebbero ancora essere nella Chiesa di San Francesco che è ancora inspiegabilmente chiusa. Il pittore napoletano era molto legato a quella chiesa per vari motivi: perché era a due passi da Palazzo Desiderio, perché vi ammirava il ciclo pittorico e biblico di Tommaso Giaquinto, perché la sua opera Luca dipinge Maria fu incorniciata in una cornice ottocentesca, stile impero, che aveva già ospitato un dipinto, poi trafugato, di Luca Giordano e la grande opera era visibile a tutti tempo addietro proprio nella Chiesa di San Francesco.

Il legame con i luoghi e con la storia era per De Stefano importante, decisivo. E’ stato lui, come un Manzoni della pittura, a dare dei volti ai rivoluzionari e ai reazionari, ai borghesi e ai popolani, del 1799: una rivoluzione che ebbe l’epicentro a Napoli ma che si propagò anche nelle “province napoletane” che fino a quel momento erano quasi “un mondo a parte”. A Sant’Agata dei Goti Armando De Stefano anche per questo si sentiva a casa sua perché vi aveva scoperto non solo la bellezza della cittadina, così carica di storia e passato, ma anche il legame con la tradizione artistica napoletana, tanto che il XV secolo di Sant’Agata dei Goti è un’appendice non piccola dell’arte napoletana. Quando si scriverà la storia estetica di Armando De Stefano bisognerà far visita anche a Sant’Agata dei Goti, come se si volesse scrivere un reportage per Napoli Nobilissima.



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