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Elogio di Rione Libertà

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 31 Ottobre 2019
Tags: BeneventoRioneLibertàNicolaPagliaraMatteottiUnesco

di Giancristiano Desiderio

A Benevento non accade nulla. A Rione Libertà accade tutto. Sangue. Sesso. Soldi. Droga. Fuoco. Disperazione. Amore. Fede. Sacrificio. Speranza. Il quartiere che ha nel nome la libertà, ma fu ideato e costruito durante il fascismo quando la libertà non c’era, è nel bene e nel male tutto quanto c’è di meglio e di peggio a Benevento, anche se a Benevento e alla sua cultura snobistica poco interessa. Cadendo al di là del confine naturale del Sabato, il Rione Libertà non è nel mezzo tra il Sabato e il Calore e i beneventani considerano caput mundi ciò che succede tra i due fiumi mentre ciò che è al di là è già contado, periferia, suburbio. Gli abitanti dopo il Sabato, come se vivessero in una sorta di eterna domenica dello spirito, non si sentono fino in fondo di Benevento e nella scacchiera dove sono acquartierati rappresentano una Benevento anti-beneventana o un’Antibenevento che ha con gusto sulle palle la Benevento da bere del perbenismo e del socialismo fighetto senza fica.

Una volta la buonanima dell’architetto Nicola Pagliara, che era assessore a Palazzo Mosti, si trovò in Piazza Santa Sofia, partecipava ad una manifestazione in cui da una parte c’era chi sosteneva, dando corso ad una vecchia delibera del tempo della Democrazia cristiana, di chiamare Piazza Santa Sofia addirittura Piazza Santa Sofia come dicono tutti e dall’altra parte c’erano coloro che si opponevano e protestavano dicendo che Piazza Santa Sofia pur chiamandosi popolarmente Piazza Santa Sofia doveva continuare ad avere come nome ufficiale scritto sul marmo Piazza Giacomo Matteotti. L’architetto nella bolgia e nel chiasso cercava con fatica di spiegare le sue ragioni ma gli oppositori – socialisti, comunisti, giornalisti, centrisociali e tutti coloro che credevano d’essere ciò che dicevano d’essere – si erano organizzati e lo fischiavano, insultavano e talvolta spintonavano, quando Pagliara esasperato sbottò e urlò: “Basta! Ma quale Piazza Matteotti e quale Piazza Santa Sofia! La verità è che Benevento una Piazza non ce l’ha e ne ha un disperato bisogno perché deve imparare a discutere”. L’unica vera Piazza di Benevento, ripeteva l’architetto, è il Rione Libertà che, però, per i beneventani è una specie di apartheid. Nicola Pagliara non era beneventano ma romano e napoletano d’adozione e come tutti i forestieri o stranieri che attraversano in senso inverso le Colonne d’Ercole di Sferracavallo aveva subito percepito la separazione che c’è tra Benevento e il suo quartiere più popolare e più popoloso.

Lo snobismo beneventano non ama il Rione Libertà, lo tollera. Lo pensa come un ghetto e lo tiene a debita distanza, confinato, separato, ritagliato perché sotto sotto pensa che il Rione non sia Benevento. Per il beneventano snob il Rione Libertà è fuori Benevento e fuori Benevento son inevitabilmente tutti figli di un dio minore. Si tratta di un grave errore perché il motore cittadino risiede proprio in quella popolarità extra-territoriale che avvertendo di non essere né amata né accolta riversa il suo sentimento più schietto non sulla Benevento romana cattolica apostolica ma sul Benevento calcio. Rione Libertà sente il senso di appartenenza per il Benevento ma non per Benevento, per la squadra ma non per la città perché avverte lucidamente a pelle che la città non fa squadra. Non a caso lo Stadio è nel Rione e vi sta come un tempio o una chiesa che accoglie ogni domenica sia i fedeli, la plebe, sia gli infedeli, l’aristocrazia cittadina. La separatezza è avvertita giù alle palazzine a tal punto da diventare orgoglio, rivendicazione e, addirittura, coscienza di classe con cui chi sta sotto aspira a stare sopra e chi sta sopra va sotto, come dicevano Hegel, Marx e Renzo Arbore.

Nessuno meglio del popolarismo del Rione Libertà conosce la chiusura della mente beneventana. Gli intellettualini beneventani recitano la parte dell’avanguardia e credono d’essere la vera coscienza di classe con cui educare il popolino ma giù a Rione Libertà se ne sbattono altamente di queste scemenze nelle quali vedono giustamente solo l’eterna ossessione dei maestrini risentiti che coltivano l’incubo della oscura dittatura illuminata e così ad ogni giro di giostra elettorale il Rione si prende la libertà di scegliere come votare e letteralmente decidere il sindaco che butterà giù quando inizierà a dare segni di onniscienza divina.

A volte mi sorprendo a pensare che il Rione Libertà sia l’unica speranza che ha Benevento. Lì la vita è più difficile, agra, sfacciata, verde ma proprio perché tale è più vera e più forte. Qui, nella periferia del suburbio, Benevento diventa per l’unica volta città, mentre nel centro longobardo e pontificio è un paesone che si contempla l’ombelico scoperto dall’inutile vanità dell’Unesco. Allora, capisco perché Pagliara, colpito da un’intuizione impossibile, avrebbe voluto non solo dare alla memoria di Matteotti una piazza in cui il suo nome non fosse stato nascosto dall’eccesso di storia, ma avrebbe voluto anche spostare nientedimeno che l’Arco di Traiano per collocarlo proprio in cima al Rione Libertà, come segno di trionfo e ingresso nella città viva.



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