di Giancristiano Desiderio
La vita è cambiamento. L’ideale di una vita ferma,
sempre uguale a sé stessa, con ogni cosa a portata di mano e ogni desiderio
soddisfatto, è figlia dell’edonismo e della difesa rispetto alla vita stessa
che cambia. I miti classici dell’Isola dei beati – il passato – e della Terra
promessa – il futuro – sono l’illusione e a volte l’inganno di ricondurre la
vita umana, con i suoi necessari conflitti e mutamenti che sono la vita,
ad una sorta di natura umana realizzata e pacificata o alla pace perpetua o
alla società perfetta in cui proprio l’elemento del cambiamento – imprevisto,
imprevedibile, alogico, passionale, come la buona novella – è neutralizzato
o anestetizzato da una presunta conoscenza superiore che molto spesso è impersonata
da uno Stato o da un Partito o da un Capo che, la prima cosa fa, nega la
libertà. Il classico rimedio peggiore del (presunto) male. Una situazione non
molto diversa da quella nella quale ci troviamo oggi con la cosiddetta lotta al
virus da Covid-19 in cui il governo, andando al di là dei suoi limiti,
ritiene di sapere ciò che non si sa e non si può sapere e sulla base della sua
presunzione – che è il contrario della costituzionale dotta ignoranza – nega le
garanzie liberali e diventa padrone delle vite altrui. Al fondo c’è la medesima
vitale esperienza connessa o alla saggezza, che Aristotele chiamava fronesis,
o al delirio di onnipotenza: la vita che cambia.
Giulio Iannotta, con il libro Come si cambia
(Etabeta), affronta il problema del divenire di tutte le cose dal lato professionale.
Giulio, che conosco bene ma, evidentemente, non abbastanza bene, ha scritto un
testo sorprendente che, coniugando vita e professione, formazione ed
esperienza, offre al lettore una lunga lettera confidenziale il cui scopo è
imparare dagli errori senza aver paura di cambiare perché se non ti eserciti a
cambiare sarai cambiato dalla vita che ti obbliga a rispondere.
Come si cambia
è uno di quei testi che oggi son detti di “letteratura motivazionale”: quelli,
per capirci, che ti spiegano come fare per avere successo, cosa fare per
sentirti “realizzato”, come fare la cosa giusta al momento giusto. Però,
indicando il “genere” non s’intende il libro che sta stretto nel suo “genere”
perché non è schematico ma giudizioso, non è pedante ma ironico, non è arido ma
rinfrescante: più vicino a un’operetta morale che a un vademecum. Nel libro
si mostra, in modo spontaneo e disciplinato, che il governo della vita (e della
professione) non vuole né tirannia né improvvisazione, ma assidua lavorazione.
Ciò che ci spinge a pensare e lavorare la vita è proprio il cambiamento
continuo dell’esistenza. La vita fissa non ha bisogno di essere pensata perché
è priva di occasioni: è una vita fessa. Ecco perché Marx era proprio fuori
strada quando sosteneva che i filosofi avevano sempre solo pensato la vita
mentre era giunto il momento di trasformarla: la vita cambia continuamente,
anche quando appare statica, e se non la pensiamo e ripensiamo non saremo in
grado di governarla per quel poco che ci è concesso per essere liberi. Tra noi
e la vita c’è sempre un gap ermeneutico: una specie di ferita da cucire.
Queste cose son dette nel libro di Giulio confidando sulla ragion pratica
piuttosto che sulla astratta teoria.
Per questa sua qualità, più vicina al
saggio che al manuale, il libro può essere letto non solo da coloro che sono
alla ricerca di consigli professionali dell’avvocato – Giulio Iannotta lavora
soprattutto nella consulenza alle piccole e medie imprese – ma anche da chi
vuole leggere le lettere di un amico che attraverso sé stesso e le proprie
esperienze si misura con gusto delle cose umane su casi e cause che riguardano
la intricata vita moderna di ognuno di noi.
Ai miei occhi il libro rivela una certa aria di
famiglia: sia perché in alcuni passaggi ed effusioni riconosco volti e
situazioni di riferimento, sia perché ci ritrovo una formazione culturale
coltivata dalla tradizione familiare. Nelle pagine finali del libro si fa
esplicito riferimento alla figura del nonno materno, Michele Melenzio,
cogliendone proprio attraverso le prove della vita quel valore di uomo e di
colto educatore del popolo, come diceva bene Salvatore Valitutti, che magari in
gioventù non si ebbe il tempo e la grazia di poter apprezzare. Alcuni consigli
di Giulio suonano come massime - parti da te; sappi perdere; sii serio ma non
prenderti troppo sul serio – che rivelano quella saggezza già richiamata che
non è mai disgiunta da una nobiltà d’animo che rende la vita degna di essere
vissuta. Per ogni domanda – dice Giulio Iannotta citando vagamente Hegel – c’è
sempre una risposta e una decisione da prendere. Non so se una risposta ci sia
sempre ma so che qua e là Giulio mi onora di qualche citazione e riportando un mio giudizio, come fossi un fratello maggiore, mi definisce filosofo di
professione. Il che mi fa pensare che da un lato devo stare attento a quel che
dico e dall’altro che, conservando la vocazione, devo cambiare professione.