di Giancristiano Desiderio
E’ passato un anno dall’inizio dell’epidemia da
Covid-19 e giornali, telegiornali, trasmissioni varie hanno ricordato e
addirittura celebrato il compleanno. Nessuno, però, ha posto la domanda più naturale
e banale: come mai dopo un anno siamo ancora al punto di partenza?
Infatti, dopo circa 100mila morti, un lockdown
evidente, un lockdown mascherato, chiusura della scuola, coprifuoco e – come diceva
lo slogan di una vecchia televisione: Odeon – tutto quanto fa spettacolo, siamo
ancora alle prese con la “terza ondata” e con la soluzione di sempre: chiudi le
scuole, non aprire i ristoranti, coprifuoco. Come se un anno fosse passato
invano. Ed è passato invano se siamo, come siamo, attaccati all’illusoria
speranza della vaccinazione di massa senza vaccini. Siamo ancora nel bel mezzo
di uno stato di emergenza che dura da oltre un anno. Ma un’emergenza che dura
da un anno non è più emergenza: è la normalità. Siamo continuamente in uno
stato di eccezione ma, anche qui, uno stato d’eccezione che dura da oltre un
anno non è un’eccezione: è la regola. Mi sovviene quel che diceva un economista
di tanto tempo fa, quel Maffeo Pantaleoni che in modo apparentemente sferzante
osservava che a governare aumentando sempre le tasse son capaci tutti mentre l’arte
del governo consiste proprio nel garantire i servizi senza ricorrere alla leva
fiscale. E qui è la stessa cosa: a governare l’epidemia chiudendo sempre tutto
son capaci tutti, mentre il controllo dell’epidemia esige che ci siano insieme
sicurezza e libertà, ordine e diritti.
Il caso italiano – e, in verità, il caso europeo –,
però, non ricade nemmeno in questa tipologia ma in una terza più disastrosa:
quella del danno e della beffa. Difatti, dopo un anno di chiusure, pratiche e
culturali, non abbiamo ottenuto alcun risultato tranne uno: la depressione
economica e sociale dell’Italia. Dunque, non sarà il caso di cambiare
finalmente strada?
Il nuovo governo Draghi si è sobbarcato un’eredità
disastrosa. Ne siamo consapevoli. Tuttavia, non possiamo sempre giustificare l’immobilismo
del presente con le irresponsabilità del passato. Pur considerando, come è
giusto fare, i limiti della situazione è necessario prendere atto che il dovere
del governo è mettere in chiaro che l’epidemia da Covid-19 produce un problema
di amministrazione sanitaria e dopo, solo dopo, un problema di ordine clinico. E’
compito del governo, quindi, ristabilire l’ordine dei fattori che, almeno per
una volta, se invertito muta radicalmente il risultato. L’idea di usare la
paura come leva politica ed elevarla addirittura a strumento di governo al fine
di controllare la società e impedire il sovraffollamento negli ospedali e nelle
terapie intensive va abbandonata per due motivi lampanti: non produce risultati
e non è più temporalmente e materialmente sostenibile. Per impedire che l’infezione
e gli infetti arrivino in ospedale serve il filtro della medicina di base
organizzata sul territorio. Si dirà che la medicina di base non si crea dall’oggi
al domani. Ma un anno di tempo non è l’oggi e il domani. Conviene, semmai si
sia iniziato, accelerare su questo punto. Per questo il cambio del vertice del
ministero era necessario: per cambiare politica non si può non cambiare il
ministro.
Se si fa questo passo crolla l’ossessione di dover chiudere
tutto per controllare tutto. Non deve essere un caso che i paesi che hanno una
maggiore e più pesante tradizione statalista – in pratica, l’Europa continentale
– sono anche gli Stati che hanno le maggiori difficoltà a imboccare la via di
uscita dal tunnel. La cultura statalista crea l’idea di un iper-governo della
società alla quale, però, non corrispondono successi ma insuccessi. L’ordine
degli studi del nostro tempo vuole che le scienze sociali e perfino le mediche si
applichino alla società ma si tratta di una presunzione fatale che da un lato
ammazza le libertà individuali e dall’altra non garantisce la sicurezza. Con il
risultato che ci siamo incamminati sulla via della schiavitù, volontaria e
imposta.
Governare tutto equivale a non governare nulla. Perché
il governo totale è inesistente e produce solo immobilismo sociale e
depressione economica. Erano queste le due armi usate dai partiti che volevano
imporre un regime totalitario. Perciò vanno recuperate la mobilità sociale e la
crescita economica: non solo un ostacolo né per la sanità né per la salute ma,
al contrario, sono centrali proprio per reagire all’epidemia. Il futuro dell’Italia
non è nelle chiusure ma nelle aperture. Mario Draghi lo dica con chiarezza.
Senza apertura culturale e materiale, nessun Recovery salverà il Paese.