di Giancristiano Desiderio
Dopo il
funerale del padre, Stefania Craxi ritornò a casa ad Hammamet e, rimettendo
ordine nella stanza di Bettino Craxi, trovò sotto il letto un foglio sul quale
il leader socialista aveva scritto quest’ultima considerazione prima di morire:
“In questo processo, in questa trama di odio e di menzogne, devo sacrificare la
mia vita per le mie idee. La sacrifico volentieri. Dopo quello che avete fatto
alle mie idee, la mia vita non ha più valore. Sono certo che la storia
condannerà i miei assassini. Solo una cosa mi ripugnerebbe: essere riabilitato
da coloro che mi uccideranno”.
Sono parole
drammatiche, eppure ottimistiche. Prevedono una riabilitazione che presto o
tardi arriverà e che, forse, sta arrivando ora nel ventennale della morte con
il film di Gianni Amelio e con l’interpretazione di Pier Francesco Favino.
Tuttavia, si tratta di una riabilitazione più culturale o, meglio, spettacolare
che realmente politica. Perché ci possa essere una effettiva riabilitazione di
Craxi è necessario riconoscere non solo che aveva ragione ma che l’anticomunismo,
come sapeva e testimoniava Craxi con la sua azione, è un valore democratico. Il
traguardo, dunque, è lontano e la riabilitazione è fasulla o almeno debole.
Ogni riabilitazione vera, infatti, è la riabilitazione del riabilitante e non
del riabilitato. Per fare un esempio classico: quando la Chiesa riabilitò
Galileo Galilei in realtà riabilitò sé stessa. Riabilitare Craxi, quindi, non
significa perdonarlo o accettarlo ma ammettere i propri errori, i propri
sbagli, la propria malafede. Gli ex e i post comunisti sono pronti a riconoscere
che il comunismo non è un valore democratico?
E’
difficile, molto difficile, forse impossibile. Craxi era e resta tutt’ora il
politico italiano più odiato dalla sinistra. Addirittura più odiato di
Mussolini. Per giustificare tale sentimento di odio si tira in ballo la
corruzione del Psi, dimenticando che in realtà non solo tutti i partiti
percepivano “finanziamenti illeciti” ma il partito più corrotto era proprio il
Pci che era sovvenzionato da un paese straniero non alleato dell’Italia: l’Urss.
La verità,
come ho provato a spiegare nel libro L’individualismo statalista. La vera
religione degli Italiani (edito da Liberilibri), è che il “caso Craxi” non
è giudiziario ma politico, tutto politico. L’odio nei confronti di Craxi non
nasce da motivi giudiziari ma da ragioni politiche che affondano le radici
nella storia italiana e internazionale del socialismo e del comunismo.
Bettino Craxi è stato il primo leader della
sinistra italiana a diventare presidente del Consiglio. Governò bene: fermò la
demagogia dei sindacati, ridiede un minimo di prestigio all’Italia, riscrisse
il Concordato, superò l’idea malsana del compromesso storico, difese l’esigenza
di una sinistra riformista, mise in crisi l’egemonia del Pci sulla sinistra,
liberò la destra dal suo isolamento, osteggiò l’ideologia e la pratica
dell’arco costituzionale e avanzò la proposta della riforma costituzionale. Oggi
sulla base della storia possiamo dire che Craxi è stato l’uomo politico
italiano più importante della fine del Novecento. Tuttavia, l’odio nei suoi
confronti che veniva dai comunisti e poi dagli ex e post comunisti non nasceva
dall’invidia per la sua affermazione politica e per la sua abilità alla Ghino
di Tacco capace di inserirsi tra la Dc e il Pci e far pesare i voti socialisti
e la cosiddetta “onda lunga” elettorale. No. Quell’odio, che poi ha assunto le
fattezze della maschera del moralismo e dell’indignazione con la condanna della
corruzione che aveva, invece, la sua origine proprio nell’esistenza del Pci,
nell’oro di Mosca e nella “democrazia consociativa” in cui il principale
partito d’opposizione era in realtà un “socio in affari” del partito di
maggioranza relativa, quell’odio aveva e continua ad avere la sua origine nella
storia politica della sinistra in cui i socialisti erano considerati né più né
meno i cugini poveri dei comunisti e i traditori della Causa.
Quando Craxi assunse la guida del Psi fece
esattamente l’opposto di quanto si propose Francesco De Martino che dichiarò
che i socialisti non sarebbero mai più andati al governo senza i comunisti. Una
ammissione di subalternità politica e culturale davvero imbarazzante. Craxi,
invece, dal principio fece l’opposto e non si mostrò mai subalterno al Pci e
alla sua superiorità egemonica: non per questioni di carattere e di orgoglio ma
per ragioni squisitamente politiche perché aspirò con avvedutezza a sostituire
l’egemonia comunista con i valori della socialdemocrazia che stavano
giustamente dalla parte della democrazia liberale, della libertà di mercato e
della società aperta e pluralista. In questo modo Craxi puntava il dito dritto
verso l’anomalia italiana ossia l’esistenza ancora di un partito
marxista-leninista legato a doppio filo spinato a Mosca e causa di quel
consociativismo che, con la teorizzazione e la pratica di un governo
insostituibile e di una finta opposizione, è stata la vera radice della
corruzione.
Per la sinistra comunista Craxi era ed è odioso
perché è quel socialista che – come già fece Turati nei confronti di Gramsci –
mostrò e mostra come il comunismo e il mito rivoluzionario siano solo degli
inganni praticati a beneficio del Partito e in danno dei lavoratori mentre
nella vulgata culturale e
antifascista ma non anti-totalitaria della Prima repubblica il comunismo era
nientemeno che il Bene e chi si diceva anticomunista o era pazzo o era un
fascista e i socialisti se non volevano essere considerati dei traditori
oggettivi dovevano sottostare al Pci. Zitti e Mosca. Il Berlinguer – il tanto
amato Berlinguer della diversità, della questione morale – ancora nel 1978
riteneva “del tutto vivente e valida la lezione che Lenin ci ha dato” mostrando
ancora una volta l’arretratezza culturale e politica della sinistra.
Bettino Craxi, con la sua politica e – oggi lo sappiamo –
con la sua vita e la sua morte, s’incaricò di smascherare proprio questo
inganno spiegando e dicendo che non solo ci si poteva dire anticomunisti ma era
anche giusto e doveroso farlo non solo per motivi di lotta politica ma per
genuine ragioni di verità e libertà. Ecco perché ancora oggi Bettino Craxi è
tanto odiato a sinistra e non basterà un film, per quanto ben fatto, a “riabilitarlo”.
Craxi è stato odiato e giustiziato perché da sinistra ha detto, prima
della fine del comunismo storico, che comunismo e libertà, comunismo e
democrazia sono inconciliabili. La stessa sorte toccò a Filippo Turati. È una
storia antica, vecchia. I massimalisti hanno sempre fatto fuori i riformisti,
per poi piangere lacrime di coccodrillo e predicare l’unità della Sinistra. È
il motivo che fa capire perché oggi la sinistra è alleata e affratellata con il
M5S.