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La zappa di Evangelista

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 25 Maggio 2019
Tags: votosant'agatadeigotizappare

di Giancristiano Desiderio

La storia di Evangelista Capagnuolo riassume il senso delle amministrative di Sant’Agata dei Goti. Fin dal nome e dal cognome  - Evangelista Campagnuolo -  esprime quello che Nietzsche chiamava il senso della terra: “Fratelli, vi scongiuro, siate fedeli alla terra”. Se l’amministrazione uscente avesse coltivato le rape e le fave, i cavoli e i broccoli, i fagiolini e i piselli, oltre all’umiltà propria di chi ha i piedi per terra, invece di credere di essere immotivatamente degli uomini e delle donne extraterrestri, oggi il comune non sarebbe pieno di milioni di debiti e le famiglie avrebbero qualche risparmio in più. Purtroppo, gli amministratori uscenti sono degli azzeccagarbugli che non solo non sanno, come diceva Giovanni Razzano, che la vita è un carciofo e non sai mai come usciranno le foglie, ma disprezzano anche il lavoro della terra dal quale è nata proprio la storia borghese di Sant’Agata dei Goti. Così è accaduto che qualcuno a corto di fantasia abbia detto a Evangelista, che fa il contadino in una famiglia di contadini e fruttivendoli, di andare a zappare. E l’altra sera Evangelista, nel comizio a Piazza Trieste, ha rivendicato la zappa: “Io a zappare ci vado veramente e ne sono orgoglioso  - ha detto questo figlio della terra santagatese -  ma voi così dicendo dimostrate di non conoscere il vostro stesso paese e la sua gente perché offendete la stragrande maggioranza dei santagatesi che vivono proprio grazie alla terra”. Applausi.

E’ tutto qui. Davvero è tutto qui. Il grande errore dell’amministrazione uscente  - addirittura sarebbe dovuta essere un’amministrazione di sinistra -  non è nemmeno quello di aver fatto debiti fino al fallimento, bensì quello di aver disprezzato il lavoro e di aver infastidito la gente che lavora. Fino a qualche anno fa nel centro storico di Sant’Agata dei Goti, sotto i portici che si affacciano su via Roma, c’era un mercatino caratteristico e tra le ceste di frutta, verdura e ortaggi c’era anche la famiglia Campagnuolo. L’amministrazione di extraterrestri decise inopinatamente che, dopo circa un secolo di storia, era giunto il momento di mettere fine a quel mercatino che compare anche in uno scritto giornalistico dello scrittore Andrea Giovene che abitò per qualche tempo a Sant’Agata dei Goti e morì alla fine degli anni Novanta proprio nel monumentale Palazzo del Cervo. Così la famiglia Campagnuolo ora vende i suoi prodotti in una bottega all’altezza della chiesa di Sant’Angelo in Munculanis, davanti alla pescheria di Umberto che vende pesce lì dove tanto tempo fa zi’ Maria ‘a giurnalaia vendeva il Corriere della Sera e gli articoli di Montanelli tra fiche e capitoni.

Evangelista Campagnuolo non si è dato mai per vinto. Ha continuato la sua battaglia civile prim’ancora che politica e lo ha fatto sempre confidando sull’emancipazione economica e culturale che gli deriva dal lavoro. Proprio grazie alla sua arte di zappare la terra ha capito che nella vita le cose si ottengono solo con la lotta e con la lotta e con il lavoro ha conservato libertà e dignità e oggi, con giusta fierezza, le ha messe al servizio di Sant’Agata dei Goti. Come si può capire, è una storia semplice ma esemplare: chi lavora è libero e non ha bisogno di sottostare al potente o a chi crede di esserlo. Il senso del voto amministrativo santagatese è tutto qua: ridare valore al lavoro e alla cultura libera e così mandare a casa chi è stato un impedimento alla crescita economica e civile di Sant’Agata dei Goti che è uno dei borghi più belli d’Italia ma ha una delle più brutte amministrazioni d’Italia.

Voterò Evangelista Campagnuolo. Se lo merita. La zappa di Evangelista mi sembra un ottimo strumento per cambiare le cose. Il disastro che c’è su quel comune vuole che si zappi e si sarchi e chi sa zappare conosce il senso della fatica. Uno zappatore è pienamente legittimato a mandarli a zappare. Lo zappatore non solo non si scorda la mamma  - come voleva il re della sceneggiata Mario Merola -  ma non fa sceneggiate e sa che il lavoro non assistito è il cuore della cultura della libertà.



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