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Lo snobismo beneventano

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Forche caudine · 20 Ottobre 2019
Tags: Beneventointellettualimarxismo

di Giancristiano Desiderio

Il beneventano è snob a insaputa del mondo. Chiuso nelle mura longobarde, crede d’essere non solo l’ombelico d’Italia ma anche il centro dell’universo. A sua parziale discolpa va però detto che il gratuito provincialismo beneventano è il riassunto dell’autobiografia nazionale: lo snobismo dell’italiano sta all’Europa come l’auto-referenzialità del beneventano sta all’Italia. Correva l’anno 1963 quando Alberto Arbasino fece chiasso invitando gli intellettuali italiani a fare una gita a Chiasso percorrendo i pochi chilometri che separano Milano dalla cittadina svizzera e respirare così un’aria di libertà e di apertura. E’ la stessa cosa che ripete da tempo quel beneventano anomalo di Antonio Medici quando invita gli intellettuali beneventani a spingersi al di là di Sferravallo.

Qualche anno fa Simone Aversano scrisse su Sanniopress una sorta di critica della metafisica dei costumi del beneventano medio, ora pop ora chic, sempre pronto a tirare la pietra e nascondere la mano ed annusare l’aria per salire sul carro del vincitore, per giungere alla conclusione che lui, Aversano, forse in omaggio anche al cognome, non era beneventano bensì beneventese. Una sorta di rivolta interiore che segnala il disagio della vita nel “natio borgo selvaggio”. Come una volta mi disse, con irresistibile comicità involontaria, un beneventano doc: “Eh, ma tu vivi in paese, mentre noi qui in città…”.

Da dove nasce l’ingiustificato complesso di superiorità del beneventano? Otto secoli di dominazione pontificia non sono pochi. La mente beneventana si è storicamente formata nella chiusura dell’enclave dello Stato della chiesa e avendo vissuto per tanti secoli in “un mondo a parte” ha finito per concepire quel paesone che è Benevento come una sorta di nazione in una nazione, una specie di zona franca o di extra-territorialità, un po’ come la città di Fiume ma senza un salutare porto di mare. La mente beneventana è chiusa al mondo perché crede per davvero che il mondo finisca a Sferracavallo e ritiene che in fondo tutto ciò che accade d’importante accada tra l’Arco di Traiano e la Pace vecchia. La cultura provinciale beneventana non è mondana ma teologica e, con la puzzetta sotto il naso, guarda tutti dall’alto in basso anche se il suo interprete è un baciapile che ha sviluppato un particolare sesto senso per il servilismo volontario. Lo snob beneventano è innamorato del pianerottolo di casa, affoga nel lavandino del bagno e a Dugenta si sente all’estero. Gira il mondo gira, come diceva Jimmy Fontana, e il beneventano non si muove e pensa che tanto gira e rigira sempre si dovrà fermare per una sosta e per un consiglio a Benevento e così, in quella circostanza, lui, il beneventano vi potrà salire sopra illudendosi di essere al passo con i tempi.

Si sbaglierebbe, però, se si pensasse che l’aristocrazia beneventana è il frutto di santa romana chiesa e si sbaglierebbe due volte se si pensasse che riguarda i cattolici ma non i laici. Lo snobismo beneventano è trasversale. Non conosce differenze di religione, di classe, di razza. E, anzi, dove si esprime al meglio non è nel chiostro monacale fuori dal mondo ma nella mondanità secolare in cui il conformismo prende la posa super-conformista dell’anti-conformismo. A Benevento il vero secolarismo nasce dal cattolicesimo, mentre la laica mondanità assume la forma di una chiesa. Sono costoro gli intellettuali beneventani, di estrazione sinistrorsa, che portano la naturale cultura teologica all’incontro con i bigodini di un ignoto marxismo avvertito coma il sale della terra. Qui lo snobismo beneventano, facendo inconsapevolmente la caricatura di sé stesso, diventa un capolavoro e può accadere di imbattersi in giovani intelletti intenti nella lettura dei Problemi del leninismo che discutono con astratti furori di imperialismo e delle contraddizioni del capitalismo che generano nelle nostre menti e nelle nostre vite le sofferenze e le diseguaglianze che subiamo ingiustamente.

L’intellettuale beneventano, espressione massima dello snobismo, sempre così pensoso, buono, altruista, femminista, ambientalista, giustizialista, avanguardista è sempre seduto dalla parte della ragione e del progresso che, a volte, possono anche coincidere con l’arbitrio e il regresso ma sono soltanto le contraddizioni del capitalismo e per capire come si risolvono basta vedere dove è collocato l’intellettuale beneventano, seduto per definizione dalla parte della ragione. Gli altri (citando proprio uno degli autori di riferimento dello snob beneventano con la puzzetta al naso), trovando tutti i posti occupati, sono seduti dalla parte del torto.



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