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Per Maradona. Poesia (inedito)

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 25 Novembre 2020
Tags: DiegoArmandoMaradona

di Giancristiano Desiderio
                                                                                                                                                                       La poetica del fallo laterale
Fernando Acitelli, La solitudine dell’ala destra
Trentaquattro anni fa. Napoli – Juventus. Porta della curva sud. Secondo tempo. 27° minuto. Punizione a due in area di rigore (oggi è cosa rarissima, estinta) della squadra di Trapattoni. Eraldo Pecci e Maradona sulla palla. Platini in barriera. Pecci a Maradona: “Da qui non si segna. E’ impossibile”. Maradona a Pecci: “No palabras. Dammi la palla”. Pecci tocca piano con tacchetti e suola. Maradona mette el pibe sotto. La barriera è a cinque metri scarsi. La palla si alza e non fa in tempo a scendere che è già in rete, mentre Tacconi si accartoccia al palo sinistro e il San Paolo è in Cielo. Enrico Ameri non crede a ciò che ha visto e si ingarbuglia con le parole. Non palabras, non parole. Dammi la palla. Più che una punizione, una poesia. Maradona, accarezzandola, aveva preso la palla per il verso giusto.

Trentaquattro anni dopo si rigioca, come ogni anno, quella partita. Mi è tornata alla mente quella punizione - che in tanti diranno magica, altri diranno sfuggire alle leggi della fisica - dopo aver letto la poesia di Mimmo Liguoro dedicata all’argentino- napoletano nel volumetto di versi epico-calcistici La testa nel pallone con profili in versi da Monzeglio a Maradona in cui il giornalista cerca di prendere il calcio per il verso giusto, quello estetico.
Quando il piede sinistro
toccava il pallone,
uno stormo di bianchi colombi
s’innalzava in volteggio,
stralunando portieri e terzini,
trasformando i minuti del gioco
in orgasmo di fiaba,
e fermando nel tempo dei sogni
orologi stremati.
Un anno e mezzo dopo quel 3 novembre 1985, Napoli e Diego Armando avrebbero vinto il loro primo scudetto. Tuttavia, quel gol impossibile che Maradona sentiva nel piede e nella sensibilità della gamba sinistra che gli risaliva dalla caviglia alla testa  - perché un grande calciatore certe cose le sente, le avverte, le anticipa in immagine -  segna il punto d’incontro tra el pibe de oro e il Napoli e Napoli che da quel momento ha ritrovato un pescivendolo, un re, un lazzaro, una maschera, un corpo, un ideale, un giocatore in cui credere per vivere e rivedere la vita, piangere e fottere.

La sfida di oggi con la Juventus di Cristiano Ronaldo - CR7, una formula di una tristezza aerea infinita - è cosa molto diversa. Sono tanti i punti di differenza tra le due squadre e il Napoli, nonostante i sogni di grandezza, accoglie la Juventus come fa una squadra minore con la prima della classe. Trentaquattro anni fa era un’altra cosa. Era un’altra storia. In campo c’erano Platini e Maradona e il Napoli iniziava a vivere come in un sogno. Era quello un altro calcio che oggi rivediamo nella sua eterna freschezza come fosse, e lo è, l’eterna incarnazione delle idee platoniche che danno forma alle acque eraclitee della vita e del campo da gioco.

E’ cosa strana legare calcio e filosofia, calcio e poesia? E’ la cosa più umana e più naturale che vi sia che risale alle cose nascoste e visibili fin dalla fondazione del mondo. E’ il Gioco di cui facciamo parte e del quale siamo insieme, come giocatori in campo e sugli spalti dell’esistenza, alla maniera del centromediano Hegel servi e padroni, signori e schiavi per la gioia e il dolore di vivere e liberarci. Anche Leopardi, che rimase schiacciato dal peso di una vita fatale, vide nell’eroe Carlo Didimi di Treia, campione nel gioco del pallone, un raggio di luce e del giocatore - giocatore che, in questo caso, non è un calciatore - fece un esempio al quale ispirarsi per affrontare lotte e travagli con i versi, forse non facili, di A un vincitore nel pallone che così inizia:
Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
E’ la solitudine dell’ala destra, come direbbe Ferdinando Acitelli - dove sei amico mio - che mi spinge ancora a correre su e giù sotto il campanile della chiesa della Santissima Assunta per inseguire le forme della vita che passano in una partita di calcio. Trentaquattro anni fa, come ieri, come oggi. Così è sempre stato, così sempre sarà. Perché le cose belle e impossibili si ripetono in eterno, salve come sono nella pianura platonica della verità.

Maradona nella sua vita ha fatto tante cose, belle e brutte, ha detto tante scemenze, tutto e il contrario di tutto, ma la coerenza non era il suo forte e, per fortuna, non lo è di nessuno perché l’unico davvero coerente al mondo è solo il pallone che bisogna saper accarezzare. Leo Messi chiese a Maradona come calciare al meglio la punizione. E Maradona rispose con parole di poesia, forse ricordando Pecci che gli diceva: “Da qui non si segna. E’ impossibile”:
Non muovere il piede troppo velocemente
Perché altrimenti la palla
Non sa cosa vuoi da lei.
Devi farle capire la traiettoria
Che vuoi darle.



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