di Luigi Ruscello
Come oggi si attribuiscono alla
linea ferroviaria Napoli-Bari poteri taumaturgici, circa dieci anni fa in
provincia di Benevento si dibatteva sulla cosiddetta “Agenzia unica per lo
sviluppo” perché anche ad essa si attribuivano poteri straordinari, appunto,
per lo sviluppo del nostro territorio.
Però, abusando di Beckett, siamo
sempre in attesa di Godot, alias sviluppo, e lo saremo ancora per molto, o
addirittura invano, come purtroppo credo, se non cambieremo atteggiamento. Noi beneventani, infatti,
mutuando l’espressione da Giancristiano Desiderio, siamo i tipici “individualisti
statalisti”.
L’unica liturgia che siamo capaci
di celebrare non è quella di Cristo, bensì quella dell’intervento salvifico
dello Stato poiché vale il motto: non ci sono risorse! Ma siamo sicuri che pur avendo
una consistente dote monetaria saremmo capaci di far incamminare il nostro
territorio sulla via dello sviluppo? Quando ci renderemo conto che
solo noi possiamo salvarci, abbandonando il malefico “familismo amorale” e
adottando il “capitalismo coalizionale”?
Oggi il Veneto può fare la voce
grossa per ottenere la cosiddetta “autonomia rafforzata”, in virtù della potenza
economica raggiunta. Basti pensare che nel settore agroalimentare è divenuta la regione leader dell’export,
soprattutto grazie al prosecco. Ma noi meridionali, e specialmente
noi beneventani, ci dovremmo chiedere: come è riuscito il Veneto a raggiungere
un tale sviluppo?
Non dobbiamo dimenticare,
infatti, che il Veneto è una delle regioni che più delle altre è stata colpita
dal fenomeno degli espatri. Senza tornare ai tempi della “grande emigrazione”,
e considerando i tempi a noi più vicini, in particolare al periodo 1946-1961,
si ottiene che il numero di espatriati per mille abitanti è stato pari a 9,84 in
Veneto e a 6,80 in Campania.
All’inizio
degli anni ’60, infatti, il Veneto aveva un reddito medio pro capite inferiore
alla media nazionale; mentre, oggi risulta del 16/17% circa superiore. Lo sviluppo che si è registrato
nel Veneto, dunque, è forse dovuto all’istituzione di un’agenzia unica per lo
sviluppo? Oppure all’intervento dello Stato? Niente di tutto questo.
È sicuramente vero che la
posizione geografica ha favorito il processo di sviluppo, ma il motivo del boom
va ricercato nel fatto che i veneti si sono rimboccate le maniche e si sono applicati
quotidianamente e ostinatamente sul lavoro. Nel contempo, si sono saputi dare una
organizzazione che noi ci sogniamo.
È dell’anno scorso la notizia delle
nozze tra Food & wine,
ovvero Cibus e Vinitaly. Che poi sono quelle tra Veronafiere e Fiere di Parma,
che unendo le forze, hanno creato la nuova società paritetica Vpe – Verona
Parma Exibitions – per portare all’estero un’unica manifestazione. Due corazzate
efficaci e complementari per la promozione del brand italiano del
wine&food. Sapremo
mai organizzarci a Benevento e in Campania, pur avendone tutti i presupposti?
Per
il momento abbiamo cominciato a votare Lega. Prosit!