di Giancristiano Desiderio
Il modello italiano non ha funzionato. La quarantena
imposta a tutti, da Aosta a Santa Maria di Leuca, non ci ha protetti né dai
contagi né dalle morti. Ce lo dobbiamo dire con franchezza perché in questa
brutta storia la verità dei fatti non può essere negata senza causare altre
vittime. Il modello italiano non è il migliore né in Europa né al mondo.
Altissimo è il numero dei contagi e l’Italia è il primo paese al mondo per il numero
dei morti. A fronte di questo disastro sanitario c’è la negazione della libertà
civile. Come a dire: abbiamo rinunciato alle libertà per salvare le vite ma il
rimedio si è rivelato peggiore del male: non abbiamo né la libertà né la
salvezza. Ecco perché chi continua a chiedere ancora più restringimenti della
vita civile - la chiusura dei negozi di generi alimentari - e chi punta il dito
contro chi corre nei parchi deve rendersi conto che il problema non sono né i
negozi né i podisti ma il suo modo di pensare che non accettando di imparare
dai fatti, dalle smentite e dagli errori genera solo rancore e panico.
Le epidemie sono delle brutte bestie. Si ammalano i
corpi ma anche e soprattutto le anime. Il governo italiano, muovendosi in
maniera goffa sia pur giustificata dal fatto fuori dall’ordinario, ha pensato
di salvare prima di tutto i corpi mettendo tra parentesi le libertà
fondamentali come movimento e lavoro. Una scelta, forse, obbligata. Ma era
necessario dire, però, che il calcolo di limitare la libertà per salvare le
vite ha un suo limite strutturale superato il quale il vantaggio si rivela uno
svantaggio. Il vantaggio che si vuole creare limitando o addirittura negando
movimento e lavoro è quello di fermare il contagio facendo affidamento alle risorse
disponibili per vivere in sicurezza. Il vantaggio si rovescia in svantaggio nel
momento in cui il contagio non si ferma e le risorse disponibili per vivere in
sicurezza scarseggiano. La conseguenza è che se prima c’era un problema – la
malattia – ora ce ne sono due: malattia e scarsità di risorse. Come può capire
chiunque sia onesto con se stesso, il lavoro e la libertà non sono valori
secondari rispetto alla tutela della salute. Al contrario: proprio perché si
vuole salvaguardare la salute e la sicurezza delle persone è necessario far
ricorso al lavoro e alla libertà civile.
Purtroppo, l’anima italiana si è ammalata. Infatti,
chiunque sollevi il problema centrale della libertà e del lavoro è sottoposto
ad una sorta di ricatto immorale in cui la morte e i morti sono usati per
impedire di ragionare e usare in modo critico e responsabile la propria testa.
Non solo si cerca di imporre la paura per far sì che non si metta il naso fuori
di casa, ma si impone la paura anche per evitare che si pensi liberamente con
la propria testa. Anzi, che si pensi sulla base dei fatti, dei numeri, dei
riscontri, degli autorevoli dati scientifici e persino degli stessi dubbi della
scienza che, grazie a Dio, sono il sale della stessa scienza.
Ormai lo sappiamo sulla base dei fatti: l’infezione da
coronavirus è nella grande maggioranza dei casi lieve. Lo dice la scienza
clinica. Tuttavia, a fronte di questa infezione lieve tutto il Paese è in preda
al panico più totale in cui si oscilla tra la retorica e i carri funebri.
Usciamo da questo pendolo micidiale e prendiamo atto che il modello italiano –
dalle istituzioni governative alla politica dei partiti alla cultura
giornalistica – non ha funzionato. Smettiamola di cantarcela e suonarcela da
soli e prendiamo atto che la ossessione tutta italiana per la sicurezza totale
è il metodo più sicuro per perdere sicurezza, libertà e salute perché ci
diciamo con troppa irresponsabilità bugie sulla nostra vita pubblica e perfino
sulla vita nuda e cruda.