di Giancristiano Desiderio
Queste che scrivo sono note a futura memoria. Al
lettore di oggi appaiono sgradevoli e confido in un ipotetico lettore di
domani. L’epidemia da Covid-19 ci ha riportato a toccare gli zoccoli duri della
nostra esistenza: la morte e la libertà. Infatti, morte e libertà sono l’una il
rovescio dell’altro: si è liberi quando non si ha paura della morte, non si è
liberi quando per paura di morire ci si sottomette ad un padrone. La
situazione-limite nella quale si trovano gli Italiani è molto simile a questa
nota figura hegeliana.
L’ultimo mio libro – Croce ed Einaudi. Teoria e
Pratica del liberalismo (Rubbettino) – ruota intorno a questa domanda: lo
Stato può entrare nella vita delle persone? Mai avrei immaginato che poco dopo l’uscita
del libro mi sarei trovato faccia a faccia con questa domanda diventata realtà
e mi sarei ritrovato recluso in casa come in galera o in una tomba dentro un
Paese fermo come in una apparente calma cimiteriale. Eppure, è quel che
accaduto. Con un particolare importante, però: non è solo lo Stato ad aver
chiuso gli Italiani nelle case ma sono gli Italiani che hanno chiesto allo
Stato, ossia al governo, di essere chiusi nelle loro abitazioni. La logica non
è quella della “religione della libertà” bensì l’altra della “schiavitù
volontaria” in cui per conservare la sicurezza relativa si baratta la libertà
assoluta. E’ un calcolo molto miope.
L’ingresso dello Stato nella vita delle persone non è
sempre da rifiutare ma ha due limiti precisi: la giustificazione e il tempo.
Luigi Einaudi, ad esempio, diceva che bisogna stare attenti a non giustificare
l’intervento statale con nobilissimi valori perché in realtà si tratta solo di soddisfare
bisogni pratici. In riferimento al nostro caso il bisogno pratico è ben
visibile: l’assenza di posti letto negli ospedali. Allora, se questo è il fine,
la sospensione delle libertà e degli elementari diritti – movimento, lavoro,
proprietà – appare spropositata e anche controproducente perché invece di
mantenere calma, razionalità, lucidità e risorse si incentiva il panico che
produce fobie, irrazionalità, cecità, sentimentalismi, sospetti, delazioni
nella immancabile logica del capro espiatorio.
C’è poi la questione del tempo. Fondamentale. La sospensione
della libertà, infatti, inizia sempre come qualcosa di temporaneo per poi
diventare definitiva. La lezione che ci viene dalla storia italiana è proprio
questa: è illusorio pensare di salvare la vita libera ricorrendo alla
sospensione delle libertà costituzionali perché, invece, la vita libera e
sicura ha la libertà sempre come mezzo e come fine. Quanto potrà durare la
sospensione della libertà senza pagare un prezzo troppo alto in termini
produttivi, fiscali, civili, internazionali? Arriverà un momento in cui gli
Italiani dovranno uscire dalle loro case per necessità scoprendo che la
necessità per la quale si erano reclusi nelle case era o illusoria o inferiore
rispetto alla necessità di essere liberi per vivere. C’è, però, un’altra
soluzione: la trasformazione del temporaneo in definitivo e della democrazia in
dittatura. Si dirà: “Non accadrà perché siamo liberi”. Lo spero. Ma io mi
limito a mettere in luce i pericoli reali e i prezzi da pagare che ci sono
quando la vita è messa totalmente nelle mani dello Stato.
C’è poi da considerare il caso inglese. Lì il governo
ha fatto una scelta diversa: non ha fermato la vita civile e la vita economica
pensando di contrastare il morbo in modo diverso, con scelte mirate e senza
nascondere la dura realtà delle morti. Le reazioni che ci sono in Italia
rispetto alla via inglese sono due: da un lato il rifiuto e dall’altro la
rivendicazione della superiorità morale della scelta italiana. Ma mentre il
rifiuto può essere, per le cose dette, limitatamente legittimo, la superiorità
morale è gratuita giacché la superiorità morale, sempre che esista, è
individuale e non ci sono popoli superiori e popoli inferiori.
Il caso inglese, poi, è rivelatore per un altro
motivo: mostra come morte, sicurezza e libertà siano tutte relazionate
dialetticamente tra loro. Gli inglesi non rinunciano alla libertà per garantirsi
sicurezza e immunizzarsi rispetto alla morte e mostrano che l’immunizzazione è
impossibile e la sicurezza non esiste senza libertà. Certo, è una scelta
dolorosa perché implica la morte. Ma anche nella scelta italiana c’è la morte,
solo che non ce lo diciamo con chiarezza e cantiamo sui balconi. Gli inglesi
hanno sconfitto Hitler e hanno sempre respinto logiche e culture totalitarie. La
storia insegnerà pur qualcosa.
La vita umana ha una sua natura tragica non superabile.
L’epidemia ci mette davanti a scelte drammatiche e nessuno – nessuno – ha in
mano la scelta giusta buona per tutti. Ma se questo è vero, allora, è evidente
che non si può rinunciare alla libertà da cui dipendono proprio le scelte. Come
non si sradica la tragicità, così non si eradicano i morbi. L’umanità non vivrà
mai in una condizione edenica o di beatitudine: questo è il sogno dell’edonismo
che è alla base delle forme totalitarie e immunitarie dell’esistenza. Quanti
sono i morbi che abbiamo incontrato, facendo un calcolo limitato, dagli anni
Settanta ad oggi? Hiv, epatite C, legionella, Marburg, Sars, Aviaria, Ebola,
Bse, febbre di Lassa e i ritorni di colera, peste, ma l’elenco è incompleto.
Dunque?
La vita umana non è senza virus, non è senza
infezioni. Il coronavirus non è né il primo, né l’ultimo, né il peggiore: è
solo il primo nell’epoca dei social e della comunicazione universale.
Forse, il problema è proprio qui. Per sconfiggere virus e epidemie, che
ritorneranno sempre, abbiamo bisogno di intelligenza scientifica e intelligenza
politica. Ma l’intelligenza si sviluppa nella libertà e nella collaborazione
degli uomini che con il necessario lavoro affrontano dignitosamente la tragedia
che incarnano.