di Luigi Ruscello
L’amico Mario
Pedicini, dalle colonne di Realtà Sannita, il 19 scorso ha lanciato una
proposta che, a prima vista, sembrerebbe di più facile attuazione rispetto a
quella volgarmente denominata “Molisannio”. E, alla fine, così conclude: «Questa è la
soluzione. Se ci crediamo, diamoci da fare. Vediamo chi inizia.»
Ebbene, con questo
intervento, ho la presunzione di contribuire al dibattito, ma, purtroppo, in
modo negativo, perché la ritengo irrealizzabile, come cercherò di dimostrare in
seguito.
La proposta, infatti,
capovolgendo i termini della questione “napolicentrismo”, appare accattivante e
realizzabile: se per noi beneventani è molto difficile staccarci dalla Campania
non è più facile che lo faccia Napoli che è già “Città metropolitana”? Poiché la Città
Metropolitana, come Mario l’ha definita, è un super-organismo amministrativo
per il governo del territorio provinciale, la conseguenza dovrebbe esser quella
di avere nel territorio regionale una Città Metropolitana e una Regione
con il territorio e le popolazioni delle province di Avellino, Benevento,
Caserta e Salerno.
Tuttavia,
la Città metropolitana è disciplinata dalla Legge 7 aprile 2014, n. 56 e, pur
essendo citata nell’art. 114 della Costituzione, non è una Regione. Ciò
significa che per staccarsi dalla Campania bisogna ricorrere all’articolo 132
della Costituzione, che così recita:
1. Si può con legge costituzionale,
sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la
creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne
facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo
delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni
stesse.
2. Si può, con l'approvazione della
maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e
del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i
Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano
richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.
In concreto, la differenza
tra le due ipotesi di riassetto amministrativo è costituita dalla legislazione
occorrente per la realizzazione finale delle stesse. Ma non solo, come si vedrà.
In particolare, essendo
le due ipotesi regolate dall’art. 132 Cost., per il Molisannio occorre una
legge ordinaria (2° c.); mentre, per la “separazione” di Napoli occorrerebbero
una legge costituzionale (c. 1°) e, poi, una ulteriore legge costituzionale,
questa volta di revisione, per la modifica dell’art. 131, ove sono elencate in
modo analitico le Regioni.
La prima differenza
tra i due progetti, dunque, riguarda il tipo di legislazione occorrente, ma è
opportuno soffermarsi, in via preliminare, su un elemento comune a entrambe le
iniziative, cioè il referendum popolare.
Le proposte citate
dai due commi dell’art. 132, infatti, sono sottoposte a referendum popolare e perché
siano approvate è necessario che i “SÌ” rappresentino il 50 per cento più uno degli
aventi diritto al voto, tra i quali campeggiano gli iscritti all’AIRE (Anagrafe
degli Italiani Residenti all’Estero). Il fatto che non sia necessario alcun quorum
non deve trarre in inganno perché l’approvazione si riferisce alla totalità
degli aventi diritto al voto, per cui, qualunque sia il numero di chi si
recasse al voto i “SI” dovrebbero essere superiori al 50 per cento degli elettori.
Questa difficoltà è
aggravata dal fatto che per questo tipo di referendum non è contemplato il voto
per corrispondenza, per cui la totalità degli iscritti all’AIRE è da
considerare come se votasse “NO”. E mi spiego.
Supponiamo che gli elettori
siano 1.000 e che si rechino a votare 501 di essi, perché il referendum sia
approvato è indispensabile che tutti votino “SÌ”, in quanto un solo “NO” lo farebbe
bocciare.
A titolo di cronaca
è da rilevare che, nel 2006, per il passaggio del comune di Savignano Irpino
alla provincia di Foggia, si è tenuto, appunto, un referendum ai sensi dell’art.
132, e l’esito è stato negativo in quanto i Sì hanno raggiunto solo il 40% circa.
È da evidenziare, però, che, su 1.411 elettori, circa 400 erano iscritti all’AIRE.
Al di là della
difficoltà di approvazione del referendum, credo che non tutti sappiano del
tentativo esperito il 28 gennaio 2011 dal Consiglio provinciale di Salerno.
Quest’ultimo, infatti, deliberò di voler costituire una nuova Regione, denominata
«Principato di Salerno». E tale delibera, corredata da tante delibere comunali
pari al 30% della popolazione provinciale è stata poi trasmessa all'Ufficio
Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione. Quest'ultima, però, sulla
base di una sentenza della Corte costituzionale, rigettò la richiesta.
L’impossibilità
della separazione di Napoli dalla Campania, infatti, è determinata dalla sentenza
n. 278 del 17 ottobre 2011, con la quale la Corte ha dichiarato inammissibile
la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Ufficio centrale per
il referendum sul secondo comma dell’art. 42, della legge 352/1970, n. 352, che
si occupa della creazione di nuove regioni e così recita:
«La richiesta del referendum per il
distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se
diretta alla creazione di una regione a se stante, deve essere corredata delle
deliberazioni, identiche nell'oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali
e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il
distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che
rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla
quale è proposto il distacco delle province o comuni predetti.»
Nel
caso de “Il Principato di Salerno”, la delibera dell'Amministrazione
provinciale di Salerno fu corredata da tante delibere comunali pari a più del
30% della popolazione provinciale, ma non dalle delibere della restante
popolazione campana, come previsto dal primo periodo del secondo comma
dell'articolo 42.
Contro
ogni previsione e contro la stessa richiesta della Cassazione, la Corte, con la
citata sentenza, dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352. Ciò significa
che, per il Principato di Salerno, sarebbe stato necessario allegare alla
richiesta di referendum anche il parere favorevole di tanti Comuni delle
province di Avellino, Benevento, Napoli e Caserta rappresentanti almeno il 30
per cento degli abitanti.
In
ogni caso, dunque, per il distacco di Napoli dalla Campania per la creazione di
una nuova regione presuppone che si pronuncino favorevolmente per l’indizione
del referendum sia il 30 per cento dei comuni facenti parte della Città metropolitana,
sia il 30 per cento dei comuni delle rimanenti quattro province. E tanto al di
là di chi sia il proponente.
L'assurdità
dell'assunto della Corte, dunque, a mio parere, è che è precluso ab initio
l'iter referendario, dimenticando, in primo luogo, che il referendum dovrebbe
avere esito positivo e, poi, che dovrebbe aver luogo un complesso iter
legislativo.
Per
concludere, immagina il cortese e paziente lettore che il 30 per cento dei
comuni napoletani sia favorevole?