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L'impossibile "regno di Napoli"

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 21 Novembre 2020
Tags: NapolinapolicentrismoMolisannio

di Luigi Ruscello

L’amico Mario Pedicini, dalle colonne di Realtà Sannita, il 19 scorso ha lanciato una proposta che, a prima vista, sembrerebbe di più facile attuazione rispetto a quella volgarmente denominata “Molisannio”. E, alla fine, così conclude: «Questa è la soluzione. Se ci crediamo, diamoci da fare. Vediamo chi inizia.»

Ebbene, con questo intervento, ho la presunzione di contribuire al dibattito, ma, purtroppo, in modo negativo, perché la ritengo irrealizzabile, come cercherò di dimostrare in seguito.
La proposta, infatti, capovolgendo i termini della questione “napolicentrismo”, appare accattivante e realizzabile: se per noi beneventani è molto difficile staccarci dalla Campania non è più facile che lo faccia Napoli che è già “Città metropolitana”? Poiché la Città Metropolitana, come Mario l’ha definita, è un super-organismo amministrativo per il governo del territorio provinciale, la conseguenza dovrebbe esser quella di avere nel territorio regionale una Città Metropolitana e una Regione con il territorio e le popolazioni delle province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno.

Tuttavia, la Città metropolitana è disciplinata dalla Legge 7 aprile 2014, n. 56 e, pur essendo citata nell’art. 114 della Costituzione, non è una Regione. Ciò significa che per staccarsi dalla Campania bisogna ricorrere all’articolo 132 della Costituzione, che così recita:
1. Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
2. Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.
In concreto, la differenza tra le due ipotesi di riassetto amministrativo è costituita dalla legislazione occorrente per la realizzazione finale delle stesse. Ma non solo, come si vedrà.
In particolare, essendo le due ipotesi regolate dall’art. 132 Cost., per il Molisannio occorre una legge ordinaria (2° c.); mentre, per la “separazione” di Napoli occorrerebbero una legge costituzionale (c. 1°) e, poi, una ulteriore legge costituzionale, questa volta di revisione, per la modifica dell’art. 131, ove sono elencate in modo analitico le Regioni.
La prima differenza tra i due progetti, dunque, riguarda il tipo di legislazione occorrente, ma è opportuno soffermarsi, in via preliminare, su un elemento comune a entrambe le iniziative, cioè il referendum popolare.

Le proposte citate dai due commi dell’art. 132, infatti, sono sottoposte a referendum popolare e perché siano approvate è necessario che i “SÌ” rappresentino il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, tra i quali campeggiano gli iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Il fatto che non sia necessario alcun quorum non deve trarre in inganno perché l’approvazione si riferisce alla totalità degli aventi diritto al voto, per cui, qualunque sia il numero di chi si recasse al voto i “SI” dovrebbero essere superiori al 50 per cento degli elettori.

Questa difficoltà è aggravata dal fatto che per questo tipo di referendum non è contemplato il voto per corrispondenza, per cui la totalità degli iscritti all’AIRE è da considerare come se votasse “NO”. E mi spiego.
Supponiamo che gli elettori siano 1.000 e che si rechino a votare 501 di essi, perché il referendum sia approvato è indispensabile che tutti votino “SÌ”, in quanto un solo “NO” lo farebbe bocciare.

A titolo di cronaca è da rilevare che, nel 2006, per il passaggio del comune di Savignano Irpino alla provincia di Foggia, si è tenuto, appunto, un referendum ai sensi dell’art. 132, e l’esito è stato negativo in quanto i Sì hanno raggiunto solo il 40% circa. È da evidenziare, però, che, su 1.411 elettori, circa 400 erano iscritti all’AIRE.

Al di là della difficoltà di approvazione del referendum, credo che non tutti sappiano del tentativo esperito il 28 gennaio 2011 dal Consiglio provinciale di Salerno. Quest’ultimo, infatti, deliberò di voler costituire una nuova Regione, denominata «Principato di Salerno». E tale delibera, corredata da tante delibere comunali pari al 30% della popolazione provinciale è stata poi trasmessa all'Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione. Quest'ultima, però, sulla base di una sentenza della Corte costituzionale, rigettò la richiesta.
L’impossibilità della separazione di Napoli dalla Campania, infatti, è determinata dalla sentenza n. 278 del 17 ottobre 2011, con la quale la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Ufficio centrale per il referendum sul secondo comma dell’art. 42, della legge 352/1970, n. 352, che si occupa della creazione di nuove regioni e così recita:

«La richiesta del referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se diretta alla creazione di una regione a se stante, deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell'oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o comuni predetti.»

Nel caso de “Il Principato di Salerno”, la delibera dell'Amministrazione provinciale di Salerno fu corredata da tante delibere comunali pari a più del 30% della popolazione provinciale, ma non dalle delibere della restante popolazione campana, come previsto dal primo periodo del secondo comma dell'articolo 42.

Contro ogni previsione e contro la stessa richiesta della Cassazione, la Corte, con la citata sentenza, dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352. Ciò significa che, per il Principato di Salerno, sarebbe stato necessario allegare alla richiesta di referendum anche il parere favorevole di tanti Comuni delle province di Avellino, Benevento, Napoli e Caserta rappresentanti almeno il 30 per cento degli abitanti.

In ogni caso, dunque, per il distacco di Napoli dalla Campania per la creazione di una nuova regione presuppone che si pronuncino favorevolmente per l’indizione del referendum sia il 30 per cento dei comuni facenti parte della Città metropolitana, sia il 30 per cento dei comuni delle rimanenti quattro province. E tanto al di là di chi sia il proponente.
L'assurdità dell'assunto della Corte, dunque, a mio parere, è che è precluso ab initio l'iter referendario, dimenticando, in primo luogo, che il referendum dovrebbe avere esito positivo e, poi, che dovrebbe aver luogo un complesso iter legislativo.

Per concludere, immagina il cortese e paziente lettore che il 30 per cento dei comuni napoletani sia favorevole?



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