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La gassosa Del Tufo e l'estetica della bottiglia

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Samnium · 15 Giugno 2019
Tags: CocaColaDelTufobibitesant'agatadeigotiAlfonsodeliguori

di Giancristiano Desiderio

La gassosa Del Tufo era prodotta in via Torrino a Sant’Agata dei Goti ancora alla fine degli anni Settanta e ho fatto in tempo a gustarla. Era dolce e frizzante come un Brachetto o un Lambrusco o, almeno, rendeva il vino, pregiato o da taglio che fosse, spiritoso come uno spumante. Una volta, non so come, mi ritrovai con gli amici del tempo in via Torrino  - abbasc’ a’ ‘Nunziata -,  lì dove le cassette di bottiglie di gassosa  - erano quadrate e contenevano, forse, una dozzina di bottiglie -  camminavano sul nastro ed uscivano da una sorta di luogo oscuro, difeso da una plastica spessa, nera e tagliata a strisce, che eccitava la fantasia e invogliava la curiosità di ragazzi che salivano la vita. Caricavamo e scaricavamo le cassette ma, in verità, più gli amici che io perché non avevo la forza necessaria per reggere il ritmo del lavoro sincronizzato. Mio padre, amico di Nando Del Tufo, che, Dio lo abbia in gloria, produceva questa specie di nettare degli dèi plebei, era solito portare in tavola sempre qualche bibita ma, soprattutto, amava la gassosa che versava nella brocca colma di vino rosso, gialli pomi di pesca e cubetti di giaccio freschi come la giovinezza. Nelle domeniche d’agosto, quando fuori il sole impera e le cicale cantano come un coro gregoriano, stare all’ombra della famiglia e sorseggiare quella sangria fresca che faceva riso e sangue era una gioia dello spirito che ancora adesso posso gustare nel ricordo dei sorrisi e delle dolcezze.

La gassosa è un gusto del tempo passato e, forse, per assaporarla c’è bisogno di un’estetica romantica e magari anche di una critica letteraria che non è più di questo tempo. La gassosa declina inevitabilmente quando s’impongono sciroppi di più largo consumo. Credo che a sostituire la gassosa sia stata la Sprite che, in fondo, è una gassosa in lattina con più bollicine ma molta meno grazia. Ma la gassosa Del Tufo era, almeno per noi santagatesi del secolo scorso, la regina delle gassose che, per intenderci, era molto ma molto più buona della gassosa Arnone. Una bibita, quest’ultima, che aveva anche un felice slogan anni Ottanta: “Arnone, è un’altra cosa”. In realtà, un’altra cosa era proprio la bella e buona gassosa Del Tufo.

Addirittura bella? Sì, bella. Perché la gassosa Del Tufo era servita in una bottiglia di un’eleganza rarissima: compatta, snella, rigata. Roba da collezione. Una bottiglia che sembrava un colonnato, come quello che ancora vive dopo millenni proprio a Sant’Agata dei Goti nella cripta sotto l’altare maggiore del tempio antico dedicato all’Assunta. Una profana bottiglia che si confonde con le sacre forme della Passione affrescate da mani ignote nella notte della storia cristiana? Non abbiate timori reverenziali: se un luogo ha una storia che si fa ricostruire e conoscere nella sua contemporaneità, allora, tutto si tiene e tutto si concede nelle sue bellezze e nelle sue sofferenze, nel piacere e nel dolore che tengono avvinti l’animo umano. In fondo, esiste un’estetica della bottiglia che è a suo modo una religione. Non dico che è la fede di de Liguori solo perché è una battutaccia, eppure Alfonso che era un aristocratico uomo del popolo ne avrebbe riso col gusto della complicità e proprio i molti quadri e le numerose icone che lo raffigurano e ho imparato a osservare fin da ragazzino me lo consegnano con un umanissimo sorriso che sa di bontà e di indulgenza.

E’ probabile che in origine  - la ditta Del Tufo rimonta al 1923 e tra poco compirà un secolo di vita e di storia -  la gassosa fosse versata nella bottiglia che in gola aveva un pallina che fungeva da tappo interno (forse, il famoso scicchignac’ int’ ‘a buttegl’ ) e di questa sinuosa bottiglia conservo in cima all’armadio di cucina dei miei ancora un esemplare che proprio Nando credo donò a mio padre che era un amante degli oggetti industriali del Novecento. Della bottiglia rigata, invece e purtroppo, non conservo alcun numero e mi dispiace perché anche solo guardarla nella sua nuda bellezza quella bottiglia evoca un mondo. Non è una mia eccentrica fisima, direbbe Ruggero Guarini. La Coca Cola non deve gran parte della sua fortuna proprio alla ondosità della bottiglia che non solo è ispirata ma addirittura copia le forme della donna? Quel vetro spesso  - il culo di bottiglia -  eppure morbido, quel restringersi ed allargarsi, come i fianchi e la vita della donna, quel tondeggiare come i seni che, infine, giunti alla sommità del colle fanno saltare il tappo per dar da bere agli assetati sono la sensualità resa in una bottiglia fatta per essere bevuta, guardata, usata, ammirata. Anche il nome Coca Cola ha in sé una specie di onda marina che ne ha decretato la fortuna nel mondo.

La gassosa Del Tufo non ha avuto la fortuna di quel chinotto elaborato che è la Coca Cola e il suo stesso nome elementare  - gassosa -  non ne ha aiutato l’impresa; ma oggi, in un pomeriggio estivo straziato di sole, lì dove l’ombra rimarcata dall’oro della luce rende visibile la dialettica che ci vive, poter bere una gassosa con quella raffinata bottiglia rigata come una colonna marmorea con le scanalature sarebbe un’eleganza degna di un romanzo di Vitaliano Brancati.



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