di Giancristiano Desiderio
E’ facile notare che una volta i ministri dell’Istruzione
si chiamavano Francesco De Sanctis, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gaetano
Martino, Salvatore Valitutti mentre oggi, per restare solo agli ultimi due, si
chiamano Lorenzo Fioramonti e Lucia Azzolina. Eppure, se la scuola italiana è un
sistema storicamente e socialmente esaurito che nessuno sa rimettere in sesto
perché nessuno conosce nei suoi fondamenti giuridico-istituzionali l’osservazione
ha un suo significato. Ad una scuola finita non può che corrispondere,
di volta in volta, un ministro finito. La cosa più intelligente da fare
è lasciare la scuola senza ministro. Nessuno se ne accorgerebbe, giuro; e ci
sarebbero anche benefici.
Lucia Azzolina ora si ritrova nella bufera perché la
sua tesi di abilitazione all’insegnamento per le scuole superiori sembra che
sia stata copiata. La stessa Azzolina, pur commentando il fatto e pur
replicando alla richiesta di dimissioni avanzata dall’opposizione, non ha
smentito la notizia ossia che il testo riprende integralmente passi di altri
autori e altre opere senza citare le fonti. E’ un altro brutto caso per il M5S
che vede sconfessati i suoi ideali, primo fra tutti l’onestà, dai suoi stessi
rappresentanti e ministri. Il “caso Azzolina”, poi, è anche più fastidioso
perché il ministro dell’Istruzione dovrebbe essere un po’ una sorta di
professore modello o di studente esemplare e, invece, sembra che sia stata sorpresa
come il più classico Pierino con le mani nella marmellata.
Provate a immaginare un po’ la scena del primo giorno
del prossimo esame di Stato, la cosiddetta maturità. Il professore distribuisce
le tracce del compito d’italiano e poi, raccomandandosi con gli studenti
affinché non copino, partecipa loro gli auguri personali del ministro, Lucia
Azzolina, che, stando alla notizia non smentita, avrebbe copiato la tesi di
abilitazione. Non vi sembra che il tutto somigli più ad una commedia plautina o
a una scena di un film di Pierino o alla satira del Bagaglino piuttosto che ad
un esame di Stato? E non vi sembra che la somiglianza o il rispecchiamento che
c’è tra cronaca scolastica e commedia dell’arte sia l’esatta situazione in cui
versa il sistema scolastico italiano dal ministro a Pierino e da Pierino al
ministro?
Eppure, vi assicuro che la scuola di Pierino nella
quale ci troviamo non migliorerebbe di una virgola anche se a viale Trastevere
ci fosse la reincarnazione di Francesco De Sanctis. Non è un problema di
ministro, ma di sistema. L’impianto scolastico italiano è napoleonico e questa
tipologia di scuola è da molto tempo, ormai, giunta al capolinea. I ministri
non ne hanno colpa. Ma il fatto che loro stessi non siano capaci di avvertire
il problema è evidentemente parte attiva del dramma che viene ad ogni giro di
giostra alimentato e trasformato nella farsa di sé stesso. Il problema-scuola
non nasce oggi ma nel 1969 quando si passa dal sistema gentiliano alla scuola
di massa e non ci si avvede che in quel momento era necessario riformare la
scuola di Stato con il modello della scuola libera. Invece, tutto è
ignorato - la voce di Valitutti è la
classica vox clamantis in deserto – e la scuola di massa in cui tutti
accedono a tutto diventa la distruzione del sistema gentiliano in cui tutto
ruota intorno al valore legale del diploma che oggi è giunto al suo ultimo
stadio: il diploma non vale il pezzo di carta che lo certifica.
Per uscire da questa situazione drammatica che genera
il suo stesso disastro non c’è altro da fare che smontare il sistema, invertirne
la logica, abolire il valore legale del diploma, togliere gli esami in uscita e
adottare gli esami in entrata, investire nelle scuole paritarie-libere,
ridefinire il profilo professionale dei professori che oggi sono impiegati,
usare il costo-standard che una studiosa e donna di scuola come Anna Monia ha
calcolato alla perfezione e messo a disposizione del legislatore. Non è un
programma, è una rivoluzione. O una rifondazione. Ma al punto in cui siamo non
c’è altro da fare. A meno che, come disse una volta Valitutti, non si decida di
chiudere per tre anni tutte le scuole di ogni ordine e grado per poi riaprirle
su nuove basi. Il che è lo stesso.