di Giancristiano Desiderio
Quando Massimo D’Alema nel 1998 scalzò il governo
Prodi - senza passare per le urne
imbarcò Mastella e i suoi prodi che Cossiga, garante dell’operazione, chiamava
gli straccioni di Valmy - e così andò a Palazzo Chigi diventando il
primo (ex) comunista a ricoprire la carica di presidente del Consiglio,
Giampaolo Pansa gli affibbiò il nomignolo di figaro. In effetti, D’Alema la
faccia da barbiere un po’ l’ha sempre avuta e con quei baffetti da playboy di
provincia che ricordano Pino Caruso nel film La seduzione riuscì a fare
pelo e contropelo a un bel po’ di professoroni e soloni della politica nostrana
e sedusse prima di tutto sé stesso ammirando la sua spregiudicatezza. Eppure,
quella operazione con cui si sostituì Bertinotti con Mastellotti e si
partecipò, come volevano gli americani, alle operazioni militari nella guerra
del Kosovo, non è nulla rispetto al triplo salto mortale fatto da Giuseppe
Conte.
Il professore di Volturara Appula è riuscito a dare un
nuovo significato alla sigla PdC che con lui non significa più presidente del
Consiglio ma presidente della Contraddizione che lui, peraltro, sopporta
benissimo e porta in giro con una faccia di bronzo al cui cospetto la celebre
figura guicciardiniana dell’uomo del particulare tratteggiata da
Francesco De Sanctis nell’omonimo e famoso saggio è poco più di un ingenuo
ragazzo di campagna. La contraddizione, manco fosse Hegel, è l’arte del
professor nonché “avvocato del popolo” Conte.
Il governo Conte 1 fu definito da chi non aveva nulla
da fare - Gigi Di Maio - “governo del Cambiamento” ma da subito fu
chiaro che in realtà era l’ottavo governo Andreotti, senza la perizia politica
del divo Giulio, perché il massimo del cambiamento fu ispirarsi alla massima
andreottina “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Il professor Conte,
che da buon docente universitario è fornito di speciali antenne per
sintonizzarsi sull’onda del potere del momento, ha dimostrato di saper tirare a
campare soprattutto quando Capitan Salvini ha tirato le cuoia. Uscito di scena
il Conte 1 è entrato in scena il Conte 2. Il primo era sovranista e populista
fino al punto da teorizzare il sovranismo in chiave anti-europea e ritenere il
populismo iscritto nella Costituzione, il secondo si mostrava mite fino alla
ferocia, fieramente anti-sovranista ed europeista convinto della penultima ora.
Un autentico capolavoro con cui l’elegante professor Conte, proprio come l’uomo
del Guicciardini, ha pronunciato parole alte e nobili come “coscienza”, “dovere”,
“libertà” per formare un governo con il principale partito d’opposizione che,
giustamente, fino a quel momento, non solo si era opposto al Conte 1 ma lo
riteneva “imbarazzante”.
Il professor Conte, che nelle descrizioni e nei
giudizi di alcuni cronisti del tempo è quasi diventato il Conte di Cavour, ha
dimostrato alcune notevoli virtù da barbiere che, forse, non hanno avuto
nemmeno i democristiani di una volta quando la Democrazia cristiana era non
solo sempre al governo ma in cielo, in terra e in ogni luogo. Prima di tutto ha
fatto, al momento opportuno, barba e capelli e servizio completo a Capitan
Salvini che, non a caso, da quel momento è diventato un po’ più ordinato. Ma lì
dove il professore pugliese ha dimostrato di essere un figaro insuperabile è
nell’uso superbo della tovaglia da barbiere. Come la usa lui non l’ha usata
finora davvero nessuno, nemmeno lo stesso barbiere di Montecitorio che per
mestiere l’ha messa al collo di tutti i deputati senza distinzione di partito,
di maggioranza, di minoranza, di simpatia, di antipatia. La tovaglia da
barbiere, in fondo, serve proprio a questo: si mette al collo di chiunque,
serve tutti e non c’è nemico che non sia suo amico e con il quale non si vada d’accordo
pur di fare il proprio interesse: le barbe. La politica del figaro Conte,
sempre ben pettinato, va d’accordo con tutti, è amica di tutti, dice sempre sì,
non ha conflitti con nessuno, ha una parola buona in ogni stagione, ascolta
tutti, va bene a grandi e piccoli come va bene al collo di chiunque, persino
del presidente della Repubblica, la tovaglia da barbiere.
“Et voilà, il signore è servito. Ragazzo, spazzola!”.