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Le finzioni della scuola

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 1 Aprile 2021
Tags: scuolaministroBianchicompetenze

di Giancristiano Desiderio

La scuola italiana è nella condizione del mito di Narciso. Infatti, se guardiano Nello specchio della scuola – come invita a fare fin dal titolo il libro del ministro Bianchi (Il Mulino) – vediamo noi stessi che, come il cacciatore Narciso innamorato della sua immagine riflessa nello specchio d’acqua, rischiamo di cadere nello specchio nel vano tentativo di afferrarci. Francesca Giusti sul Corriere del Mezzogiorno ha messo in rilievo tre aspetti: competenze, autonomia, programmi. Vale la pena ritornarci su.

L’epidemia da Covid-19 non ha creato i problemi della scuola: si è limitata, tanto per continuare con l’utile mitologia, ad aprire il vaso di Pandora ossia la stessa scuola da cui sono usciti tutti i mali. Tra questi il male dei mali è la confusione che nel sistema scolastico è così sovrana che, ormai, alle parole non corrispondono più le cose. Si prenda il primo punto: le competenze. Quali dovrebbero essere le competenze, ad esempio, di un liceale? Sapersi esprimere bene, avere una discreta conoscenza della cultura classica e scientifica, aver maturato un metodo di apprendimento che gli permetta di proseguire gli studi. E le competenze? Non ci sono perché il fine che deve perseguire la scuola è espresso al meglio dalla celebre terzina di Dante: Considerate la vostra semenza/ fatti non foste a vivere come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza. Insomma, il fine è la didattica della conoscenza che ha come risvolto pratico educazione e formazione. Alla parola competenza – fatta eccezione per gli istituti tecnici e professionali che andrebbero seriamente rivalutati – non corrisponde la cosa perché la competenza è una qualità professionale, come quella del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere, del giornalista che si acquisisce sul campo. E’ necessario uscire dall’equivoco della doppia ma verbale didattica delle conoscenze e delle competenze e per farlo va considerato che il valore sia della scuola sia dell’università non è nei titoli e giammai nella loro distribuzione. La produzione burocratica di competenti genera incompetenti.

Secondo tema: l’autonomia. Anche in questo caso ci si trova davanti ad una finzione. La scuola, che dovrebbe essere autonoma per definizione, è totalmente eteronoma. Gli anni scolastici 2019/2020 e 2020/2021 lo dimostrano: le scuole dipendono da regione e ministero. Gli insegnanti non solo sono per loro stato giuridico dipendenti ministeriali ma le stesse scuole sono sedi periferiche del ministero. Un grande conoscitore della storia della scuola italiana, quale fu Salvatore Valitutti, diceva che la scuola è un sistema eliocentrico: il ministero è il sole e le scuole i pianeti che vi ruotano intorno. Oggi con tecnologia e comunicazione in tempo reale questo sistema copernicano si è accentuato con il risultato che le scuole, che dovrebbero brillare di luce propria, sono ancillari rispetto al sistema burocratico che da mezzo è diventato fine. Autonomia? La parola non corrisponde alla cosa.

Terzo tema: i programmi. Lo dico con la felice formula che usava Gianni Vergineo, autore di una monumentale Storia di Benevento: ciò che conta non è lo svolgimento dei programmi, che si portano dietro un malinteso enciclopedismo, ma interessare gli alunni a svolgere sé stessi. Ma per farlo è necessario da un lato spostare il valore della scuola dal titolo all’insegnamento e dall’altro avere docenti preparati, autonomi, critici mentre “il corpo docente” è il frutto della decadenza della scuola italiana in cui, purtroppo, decenni di demagogia non si riformano. Si scontano.



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