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Se i sovranisti leggessero! Almeno Joseph de Maistre

giancristiano desiderio
Pubblicato da in Povera e nuda · 28 Febbraio 2019
Tags: sovranisti

di Gennaro Malgieri

È diventato un tormentone insopportabile. Francamente ne abbiamo le tasche piene delle definizioni. Anche di quelle che pretendono di essere più raffinate. Ma di una in particolare non se ne può più: sovranismo. Ritenevamo di averle trangugiate e, sia pure con difficoltà, digerite tutte quelle che la fantasia politica proponeva. Ma c’è un limite all’indecenza. E la definizione appena richiamata rientra tra quelle che non si possono tollerare. Se poi a darci lezione in merito è un tale che si chiama Steve Bannon, ex improvvisato guru di Trump, cacciato in malo modo dal suo staff, dopo pochi giorni dall’insediamento del presidente americano, è indecente addirittura.

Eppure ci sono giovanotti, ma anche personaggetti un po’ più maturi, ai quali non pare vero sentirsi “sovranisti” prendendo lezioni da un signore d’Oltreoceano. Bella coerenza. Cosa non si fa per apparire. E alle più sconclusionate epifanie, infatti, è ascrivibile il servitorame Italo-americanista che ha fatto lievitare l’ultima parola del lessico politico nostrano. E perciò se ne fa un gran parlare, mentre poco o nulla si discute di “sovranità”, grande ed intramontabile concetto politico, cuore della politica stessa, che nessuno fino ad oggi aveva sentito il bisogno di stravolgere in burletta polemica contrapposta a chissà cos’altro.

Il “sovranismo”  è una definizione propagandistica  in uso presso chi si gingilla con la contestazione dell’establishment; la sovranità è sostanza politica che dà il senso alla decisione. Non ne facciamo colpa a nessuno. Diciamo che è lo spirito dei tempi a dettare mode e dimenticanze. Perciò ci sembra il caso, qualora si volesse dare corpo ad una battaglia prima culturale e poi eventualmente politica, di riprendere i classici della sovranità per utilizzarne l’essenza al fine di ricomporre un discorso sensato sullo Stato e sul potere. Me ne vengono in mente tanti, ma soprattutto il capolavoro filosofico, storico, politico ed anche teologico di Joseph de Maistre (1753-1821), Le serate di San Pietroburgo.

Il processo rivoluzionario incominciato oltre due secoli fa ha raggiunto il suo scopo: l’inversione di tutti i valori che hanno connotato le società umane e quelle occidentali in particolare. Il “verbo” controrivoluzionario, pur manifestandosi in maniera discontinua ed abborracciata, non incide come sarebbe auspicabile nel formare una tendenza reazionaria in grado di movimentare l’opposizione alla distruzione della famiglia, alla disarticolazione delle comunità e dei corpi naturali, alla decadenza della vita pubblica. E, soprattutto, le classi dirigenti soggiogate da un nichilismo che farebbe orrore agli stessi rivoluzionari del 1789, appiattite sul relativismo morale e culturale, non sono assolutamente capaci di restituire agli Stati ed alle nazioni ruolo ed identità, tanto che l’Europa maistriana, come sarebbe auspicabile, rimane un’utopia. La riproposizione delle Serate, dunque, è allo stesso tempo una provocazione ed un’occasione per riflettere su quanto è accaduto dalla Rivoluzione in poi e si è accentuato dalla seconda metà del secolo scorso, coinvolgendo nella pratica relativista che denuncia la stessa chiesa cattolica ed ogni principio religioso e metafisico.

Quando, oltre quarant’anni fa il compianto Alfredo Cattabiani, propose l’opera di de Maistre in pieno delirio post-sessantottesco, corredata da un suo corposo saggio introduttivo che rimane la più bella biografia del grande savoiardo, gli sguardi delle occhiute polizie politiche dell’apparato intellettuale gridarono allo scandalo. Oggi di scandaloso non v’è più nulla. De Maistre non fa più male. Lo si è semplicemente rimosso. Tanto che neppure i cosiddetti “sovranisti” ne parlano o a lui si riferiscono. Molti hanno visto l’opera maistriana  come la punta di lancia della Controrivoluzione.

E’ vero soltanto in parte. La sua essenza profonda è costituita da una indagine approfondita della struttura del potere in relazione alla fede, alla scienza, al governo delle pubbliche amministrazioni. Il limite a cui richiama de Maistre è quello di attenersi nella conduzione degli Stati ai principi del diritto naturale e da qui nasce la sua “teologia politica” che, proprio perché fondata sull’intangibilità della persona, è quanto di più antitotalitario si possa immaginare. Se non ha cessato di provocare, in due secoli, discussioni e sempre – da avversari e da estimatori  - è stata riguardata come “geniale”,  il motivo è nella sua stringente critica all’assolutismo della Ragione nel cui segno sono stati compiuti i più orrendi misfatti dai tempi della Grande Rivoluzione ai nostri giorni.

E’ un peccato che di de Maistre pochi si ricordino, tra i quali Domenico Fisichella, uno dei maggiori politologi contemporanei, che di de Maistre non s’è dimenticato, tanto da dedicargli il volume Sovranità e diritto naturale in Joseph de Maistre (Pagine).  Fisichella  inquadra de Maistre come “pensatore della crisi” e la crisi ha un nome: “rivoluzione”. Non diversamente da Edmund Burke, capofila del conservatorismo, e di altri intellettuali che si opposero al giacobinismo, de Maistre penetra nei meandri rivoluzionari individuandone le radici antimetafisiche ed i principi sovversivi che avrebbero corroso l’Europa. E ne trae la conclusione che è il cuore  della sua meditazione: l’essenza nichilista della rivoluzione totalitaria è quella di “cambiare il mondo nel suo tutto, nella sua totalità”.

Fisichella confuta così, con grande semplicità, il pregiudizio diffuso con successo da Isaiah Berlin secondo il quale de Maistre sarebbe stato il precursore del totalitarismo. Al contrario, Fisichella dimostra come il pensatore savoiardo abbia tenuto a sottolineare il principio regolatore del diritto naturale, come elemento indiscutibile di un ordine umano che contempera la difesa della libertà riconoscendo l’autorità delle istituzioni non meno di quello morale.

Il saggio di Fisichella non è soltanto il miglior contributo contemporaneo  alla comprensione di de Maistre, ma anche un’esegesi di ciò che de Maistre denuncia nella sua vasta opera, a cominciare dalla fine dell’Europa a cui l’autore dedica pagine che chiunque di questi tempi dovrebbe leggere. “Nonostante il suo forte travaglio interiore - scrive Fisichella -, Maistre dà ancora speranza alla sua Europa, all’Europa della Tradizione, e alla sua capacità di resistere e di reagire, temperando con equilibrio le dinamiche della storia. Muore per risorgere. L’immagine non potrebbe essere più simbolicamente appropriata per Joseph de Maistre, cattolico, europeo, italiano”. I cosiddetti “sovranisti” che talvolta sembrano sbarcati dalla luna, dovrebbero dedicare un po’ di attenzione a chi della sovranità si è fatto interprete in tempi non sospetti.

Leggessero di più e possibilmente cercassero qui, nella vecchia Europa, ciò che oltre Atlantico hanno appreso, stravolto, corretto, arricchito e consumato. Non se ne sente il bisogno di esotismi fuori posto, insomma. È un consiglio non richiesto da chi alla sovranità - declinata oltretutto in tanti modi - ha fatto un monumento quando cominciò una vita fa a studiare la politica senza immaginare che l’avrebbe poi addirittura praticata.

 




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